Zoeggeler appende lo slittino «Me l'han detto l'istinto e l'età»
Quaranta è l'etá giusta per farla finita con quelle discese così pericolose: «Me lo ha detto l'istinto, il momento di dire basta è arrivato». Armin Zoeggeler ripone lo slittino nella casetta degli attrezzi, tra le cose che prendono polvere, e si ritira. Lo fa a 40 anni, ma dopo l'Olimpiade di Sochi ha voluto aspettare ancora un po'. Si era preso una pausa, un silenzio che è molto nel suo stile. «Ho parlato a lungo con la famiglia: volevo essere sicuro che la scelta non fosse dettata dall'emozione». Ci aveva regalato la sesta medaglia olimpica consecutiva e mai nessuno lo aveva fatto in tutto il mondo, cosa altro avrebbe potuto fare? Così ha riunito tutti in una conferenza stampa, si è presentato pettinato e ordinato come tante volte in questi anni e ha detto: «Ho seguito l'istinto per tutta la vita, è il momento giusto».
La prima volta lo abbiamo visto a Lillehammer una mattina del 1994. Sono le dieci, fa un freddo cane. Armin ha vent'anni, arriva da Merano e quando scende giù dalla balaustra che da uomo ti trasforma in proiettile sfrega il gomito contro la parete. E' un errore che gli costa qualche decimo, qualche centesimo al traguardo. Alla fine arriverà terzo, ma dirá: «Peccato, avrei potuto puntare all'oro».
Da quel giorno di febbraio la storia di Armin è devota alla perfezione. Cerca di capire il ghiaccio, lo filma, come un geologo ne studia i cambiamenti. Si dedica anche allo studio dei materiali, che sono fondamentali, e ovviamente al peso del corpo, e alle unghie, alle pellicine, alla barba che non si può tagliare prima della gara, «perché altrimenti la pelle si irrita e dà fastidio, soprattutto dove allacci il casco». Tra gli alteti girava la battuta che Armin andasse a letto con i pattini. E poi il percorso. Quei budelli fatti di neve e ghiaccio li ha sempre solo memorizzati. Durante la discesa non c'è niente da vedere: chiudi gli occhi e vai giù a centoquaranta chilometri orari. Il segreto? «Non ti fa vincere quello che si vede, ma quello che non si vede», ha detto una volta.
È così che ha vinto tutto: 6 medaglie olimpiche ma anche dieci coppe del mondo e 103 podi. «A Nagano sono arrivati i problemi, ero in difficoltà con i materiali, che non andavano, ho rimediato all'ultimo, per fortuna. Nel 2002 a Salt Lake City tutto è stato perfetto, avevo indovinato i pattini, funzionavano benissimo, ero più veloce che mai. Torino 2006 ha cambiato tutto. Quell'oro è stato caldo, mi ha fatto diventare una persona conosciuta, un italiano di tutti, se prima lo eravamo solo ogni quattro anni, con l'olimpiade di mezzo, da quel momento l'attenzione non mi ha mai mollato». Il ragazzo con l'accento tedesco da quel momento diventa il Cannibale, come Merckx, che sbranava gli avversari in bicicletta. Zoeggeler lo ha fatto sullo slittino. Dopo sono arrivati anche i piazzamenti nel 2010 e, l'ultimo, quest'anno (bronzo), ai Giochi in Russia dove è stato anche il portabandiera azzurro.
Sposato con Monika, due figli, Nina e Thomas, che ci crediate o no Zoeggeler non ha mai amato il rischio. «Ho provato il bungee jumping, il salto con l'elastico, una volta, e mai più, mi sono troppo spaventato», ha raccontato. Ama i cavalli (ne ha tre), va a caccia («ma ho fatto un corso e mi hanno spiegato che si uccidono solo gli animali vecchi o malati») e, udite udite, sa nuotare e ama gli spaghetti allo scoglio nonostante viva nella profonda montagna altoatesina. Lo slittino è stato per Zoeggeler un lavoro. Una passione, ma con metodo. È uno di quei campioni sempre sul filo del rasoio solo per quelli dal di fuori: lui i rischi li ha sempre calcolati tutti. E adesso che la vita gli ha detto fermati, Zoeggeler ha detto ok, lo faccio. «Il mio sogno? Ho molti obiettivi, ma adesso, voglio pensare a creare una squadra che vinca medaglie ai Mondiali e alle Olimpiadi, guardando sempre avanti». Come in quei budelli di ghiaccio. Prendi una bella spinta, chiudi gli occhi: dopo non ti puoi fermare.