In questo referendum, qui a Bergamo, ognuno fa un po' quel che vuole
Gori (Pd) vota “no”, Misiani (sempre Pd) vota “sì”; Cambiamo! è per il “sì”, ma ha membri che han fondato comitati per il “no”; nella Lega si tace
di Andrea Rossetti
Domenica 20 e lunedì 21 settembre i cittadini italiani sono chiamati al voto per il referendum confermativo sulla riforma costituzionale (approvata a ottobre 2019) che prevede il taglio di un terzo dei parlamentari di Camera e Senato. Due le particolarità di questo voto rispetto a quelli simili del passato: innanzitutto il fatto che, essendo un referendum confermativo, non è previsto alcun quorum e dunque sia che si vada a votare in massa, sia che si vada in tre, il risultato sarà valido; e poi il fatto che, sia il quesito referendario che il “disegno istituzionale” in cui è inserito, sono molto semplici. Sei favorevole al taglio dei parlamentari? Sì o no, stop. Non ci sono arzigogolati giri di parole, non si richiedono competenze giuridiche per comprendere la domanda, non sono previsti corollari o riforme conseguenti.
Davanti a tanta chiarezza, ci ha pensato la politica a complicare le cose avviando uno schizofrenico tourbillon di opinioni contrastanti che hanno messo in crisi quelle persone abituate a prendere decisioni di questo tipo seguendo le indicazioni di voto dei loro partiti (o singoli politici) di riferimento. Perché oggi i sostenitori del “sì” e quelli del “no” si contendono equamente gli spazi sui media, ma fino a un anno fa pareva che fossero tutti d’accordo nel dare il via libera al taglio. Lo dimostra il fatto che l’intero Parlamento, a esclusione soltanto di +Europa e Noi con l’Italia, approvò la riforma l’ottobre scorso. A gennaio, quando la Corte di Cassazione ha ammesso la proposta di referendum confermativo avanzata da 71 senatori, i dubbi erano pochi: il “sì” avrebbe vinto con una percentuale bulgara.
A distanza di svariati mesi da allora e con il voto slittato da marzo a oggi a causa dell’emergenza Covid, la situazione pare essere decisamente cambiata. Partiti che meno di un anno fa erano convintamente favorevoli alla riforma, oggi si dicono perplessi se non addirittura contrari; i rappresentanti di questi stessi partiti, poi, vanno per conto loro, esprimendo opinioni in forte contrasto anche quando la linea dettata dai vertici parrebbe essere chiara e opposta. Insomma, capirci qualcosa è veramente complicato. E Bergamo, in tal senso, non fa certo eccezione.
Partito Democratico
I dem, in Parlamento, si sono sempre detti contrari alla riforma sul taglio dei parlamentari, ma quando si è andati al voto lo scorso ottobre, ovvero poco dopo la nascita del Governo giallorosso, hanno repentinamente cambiato idea votando a favore. Il segretario nazionale Nicola Zingaretti è stato chiaro: si vota “sì”. E i parlamentari bergamaschi, da Elena Carnevali ad Antonio Misiani fino a Maurizio Martina, gli sono andati (comprensibilmente) dietro. Del resto, è inutile negarlo: la tenuta del Governo passa anche da qui. Peccato che tutta questa convinzione non ci sia quando si passano i confini romani: a Bergamo il sindaco Giorgio Gori è uno dei più ferventi sostenitori del “no” al referendum. E se questa è una posizione quasi scontata, data la sua contrapposizione a Zingaretti, stupisce un po’ di più vedere che, in realtà, tutta la Giunta Gori è per il “no”, anche in quegli elementi dem più zingarettiani, come ad esempio il vicesindaco Sergio Gandi. Della stessa idea, opposta a quella dei vertici, anche molti altri amministratori locali, bergamaschi ma non solo, i quali sottolineano come il taglio dei parlamentari da solo, senza un disegno istituzionale a definirlo, rischi di essere una mossa inutile, se non addirittura nociva.
Movimento 5 Stelle
Passando all’altra forza di Governo, invece, il quadro è decisamente più chiaro: sono stati proprio i pentastellati a spingere per questa riforma, a volerla fortemente, a farne una bandiera. L’hanno voluta quando governavano con la Lega, l’hanno ottenuta grazie al supporto del Pd e ora vogliono portarla a casa col voto degli italiani. In tal senso, quindi, è difficile trovare posizioni contrastanti tra i singoli esponenti del Movimento. Eppure, tra i rappresentanti bergamaschi, ci sono visioni diverse: Devis Dori, ad esempio, ne è un sostenitore convinto, quasi acritico; Guia Termini, invece, è per un “sì” un pelino più tiepido, avendo sottolineato in più occasioni come questa riforma debba essere accompagnata poi da una revisione dei regolamenti e da una ridefinizione dei collegi elettorali. Insomma, è a favore a patto che sia «una partenza, non una fine».
Lega
Anche la Lega si era, finora, mostrata compatta a sostegno del “sì”. Eppure, nelle ultime settimane, sempre più esponenti (anche di spicco) del Carroccio hanno fatto outing e dichiarato che il 20 e 21 settembre voteranno “no”. Tra questi, Giancarlo Giorgietti e il governatore lombardo Attilio Fontana. Proprio l’esternazione di quest’ultimo pare che abbia indispettito il leader Matteo Salvini, che ha dunque chiesto ai leghisti di non fare più dichiarazioni di voto. Una richiesta rispettata praticamente da sempre da due lumbard orobici quali Daniele Belotti e Simona Pergreffi, che non si sono mai davvero esposti sul tema, sottolineando sempre come ci siano questioni «più importanti», al momento, per il Paese. Chi invece non s’è fatto problemi a dire la sua è stato Alberto Ribolla, che ha affermato più volte come voterà “sì” per coerenza, dato che la Lega è sempre stata per il “sì”.
Forza Italia e Cambiamo!
In questo caos di opinioni, la posizione tenuta dal numero uno di Forza Italia, Silvio Berlusconi, è dunque parsa la più coerente: ognuno voti quel che ritiene più giusto. E così Alessandra Gallone, senatrice nonché coordinatrice degli azzurri in Bergamasca, non si è fatta problemi a esprimersi per il “no”. E questo nonostante nell’ottobre 2019 i parlamentari di Forza Italia (di cui lei stessa fa parte) avevano votato a favore della riforma. È anche vero che Gallone è stata una delle firmatarie del documento che è stato depositato in Cassazione per bloccare l’iter referendario.
Libertà di voto anche in Cambiamo!, il movimento fondato dal governatore ligure Toti e nato proprio da una branca di Forza Italia. Alessandro Sorte e Stefano Benigni sono i due bergamaschi di spicco del movimento, ed entrambi hanno detto che voteranno “sì”. Allo stesso tempo, però, loro stessi sottolineano come all’interno di Cambiamo! ci siano posizioni diverse, tant’è che alcuni rappresentanti bergamaschi del movimento hanno fondato un comitato per il “sì” (capeggiato dal vicesindaco di Mornico, Luca Signorelli) e altri un comitato per il “no” (guidato dal consigliere di Villa d’Adda, Mattia Roncalli).
Fratelli d’Italia e Azione
Ci sono, infine, realtà politiche che hanno sempre mantenuto la loro posizione. Sebbene le sue ultime dichiarazioni avessero lasciato presagire un cambio di rotta sul referendum, la leader di Fratelli d’Italia, Giorgia Meloni, si dice ferma sul “sì”. Certo, la vittoria (o comunque un’alta percentuale) dei “no” metterebbe seriamente a rischio il Governo a cui lei si oppone, ma ciò non cambia che Fratelli d’Italia abbia sempre supportato la riforma sul taglio dei parlamentari, ha detto la Meloni. E tutto il partito pare essere su queste posizioni, sebbene sui social la base non paia convintissima.
Altrettanto chiara è la posizione che ha preso Azione, il partito di Carlo Calenda e Matteo Richetti che in Bergamasca sta raccogliendo diversi consensi. Il “no” è una posizione che Azione ha preso sin da subito, tanto che Calenda ha indicato proprio nel cambio di rotta effettuato dal Pd sul tema uno dei motivi che lo hanno spinto a lasciare i dem. Questo attivismo per il “no” è stato assecondato anche da Niccolò Carretta, consigliere regionale bergamasco da qualche mese entrato in Azione. È stato lui a riunire in un «movimento apolitico» buona parte dei politici bergamaschi contrari alla riforma dando vita a “Noi No Bergamo”.