Panchina arcobaleno, il Comune risponde a Bianchi: «Demonizzare simbolo di pace è strumentale»
Aveva chiesto di “decolorare” l’arredo, installando al suo posto un monumento contro tutte le forme di violenza. Marchesi: «C’è lo spazio per collocare il monumento a fianco della panchina arcobaleno»
«Accanto alla panchina arcobaleno, e non in sua sostituzione, c’è sicuramente lo spazio per realizzare e collocare un monumento contro tutte le violenze a sfondo discriminatorio».
Così Marzia Marchesi, assessore all’educazione alla cittadinanza, pace e legalità, ha risposto al consigliere comunale leghista Filippo Bianchi che, a 24 ore di distanza dall’inaugurazione della panchina contro l'omofobia, la bifobia e la transfobia, ne aveva chiesto la rimozione.
Per essere più precisi, Bianchi aveva chiesto a Palazzo Frizzoni di “decolorare” l’arredo, installando al suo posto un monumento contro tutte le forme di violenza visto che il codice penale punisce chi è colpevole di reati e che in Italia «non risulta essere presente una emergenza omotransfobica».
«La bandiera arcobaleno, e quindi anche la panchina – insiste l’assessore Marchesi - celebra il diritto delle persone Lgbti+ di vivere alla luce del sole la propria identità e i propri affetti, al riparo da violenze e discriminazioni. Un messaggio che dovrebbe essere condiviso trasversalmente da tutte le forze politiche: anche diversi partiti conservatori e di destra in molti Paesi europei celebrano il pride. Insistere nel demonizzare un simbolo di pace, inclusione e umanità è antistorico e strumentale».
Le considerazioni del consigliere leghista tra l'altro non trovano d’accordo Marzia Marchesi che, replicando al consigliere del Carroccio, evidenzia come «la situazione di pericolo che vivono in Italia le persone lesbiche, gay, bisessuali e trans con riferimento ai crimini d’odio, testimoniata dalle cronache quotidiane dei giornali, sia in termini di discriminazione che di violenza, sfugge alla statistica perché, mancando una norma penale, il fenomeno non viene misurato».
Violenze crescenti
I dati italiani pubblicati da Osce, l’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa, sono prodotti combinando quelli delle forze di polizia, in merito a reati puniti dal codice penale, e le segnalazioni dell’Osservatorio per la sicurezza contro gli atti discriminatori. Ma questo sistema di comunicazione è nato nel 2014: fino all’anno prima l’Italia comunicava all’Osce non più di 60 casi all’anno di crimini d’odio.
«Dal 2014 i casi sono diventati 596 – spiega Marchesi -, poi 736, poi 1.048 e, nel 2018, 1.111. Non è che i reati per crimini d’odio siano improvvisamente esplosi, ma ora si dispone di più dati perché c’è un ufficio che li cura e lavora in modo specialistico».
La mancanza di norme e la difficoltà a raccogliere in modo sistematico segnalazioni legate a fenomeni di intolleranza sessuale rendono così estremamente complessa la possibilità di estrarre dati con valenza statistica. Pur con questi limiti, le persone omosessuali o trans vittime di crimini d’odio sono state 38 nel 2016, 63 nel 2017, 100 nel 2018, 82 nel 2019 (dato non consolidato).