Alle urne il 12 giugno

Referendum sulla Giustizia: la Lega che li ha promossi tace, Gori invece annuncia cinque sì

Il Carroccio teme il flop perché sarà difficile raggiungere il quorum. Il sindaco spinge e incassa il "grazie" di Salvini, che però parla d'altro

Referendum sulla Giustizia: la Lega che li ha promossi tace, Gori invece annuncia cinque sì
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di Andrea Rossetti

Qui a Bergamo lo sappiamo bene: sebbene Giorgio Gori sia uno degli esponenti di spicco del Pd sui territori, il primo cittadino non ha mai amato “sedersi” sui comodi cuscini della linea di partito, preferendo invece dire sempre la sua, portando avanti battaglie che, spesso, hanno anche incrinato rapporti politici e causato attriti. Non stupisce, dunque, che proprio nei giorni in cui il segretario dem Enrico Letta annuncia la sua posizione contraria a tutti e cinque i referendum sulla Giustizia, Gori porti invece avanti una personale e opposta battaglia affinché i referendum raggiungano il quorum (50 per cento degli aventi diritto più uno) e tutti i quesiti passino con esito positivo (sì o no a: riforma del Csm, nuova forma di valutazione dei magistrati, separazione delle carriere dei magistrati, limitazione agli abusi della custodia cautelare e abolizione della Legge Severino).

Certo, Letta ha anche detto che «il Pd non è una caserma e c’è la libertà dei singoli» e Gori non sarà l’unico esponente dem a recarsi alle urne e votare “sì”, ma è senza ombra di dubbio quello che si sta esponendo maggiormente, tanto da ricevere anche il ringraziamento pubblico del “grande nemico” Matteo Salvini. La Lega, insieme ai Radicali, è stata la forza politica artefice dell’iniziativa referendaria. Allo stesso tempo, però, ormai da diverso tempo sembra aver abbandonato questo terreno di gioco, preferendo, per la propria partita elettorale, altri campi.

Ad aprile, interrogato al riguardo, Salvini spiegava al Corriere della Sera: «I primi cinque titoli dei tg sono sulla guerra, il sesto è sul Covid, il settimo sulle bollette. Parlare di separazione delle carriere dei magistrati è difficile. Per questo preferisco parlare di casa, di risparmi e magari flat tax». Insomma, quella che il senatore bergamasco leghista Roberto Calderoli ha definito «congiura del silenzio» sui quesiti referendari, a quanto pare, vede nel suo leader il primo colpevole.

La sensazione è che in via Bellerio ritengano la battaglia referendaria una battaglia già persa: non solo i sondaggi mostrano uno scarso interesse da parte della popolazione (secondo Demopolis solo il trenta per cento degli italiani sarebbe intenzionato a votare, per di più con diverse posizioni in base ai singoli quesiti), ma anche il Governo avrebbe tutto l’interesse a rendere i referendum un flop.

I rapporti tra Mario Draghi, i partiti e i magistrati sono già tesi per la riforma Cartabia a cui si sta alacremente lavorando, una eventuale vittoria dei “sì” il 12 giugno aprirebbe un ulteriore terreno di scontro che, al momento, si preferirebbe evitare. Va in questa direzione anche la decisione di limitare a un solo giorno (domenica 12 giugno per l’appunto, dalle 7 alle 23) la votazione, sia per le amministrative che per i referendum, invece che consentire l’accesso alle urne anche il giorno successivo. Una scelta che rischia di ridurre in modo importante l’affluenza e, di conseguenza, renderà più complicato il già difficile raggiungimento del quorum. (...)

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