Donne di conforto: una ferita storica e le nuove tensioni tra Corea del Sud, Giappone e l’ombra del Nord

Barriere di filo spinato con un piccolo fiore delicato, simbolo della memoria delle donne di conforto
Un’eredità dolorosa: il nodo irrisolto delle “donne di conforto”
La questione delle donne di conforto continua a rappresentare una delle ferite più profonde nella memoria collettiva dell’Asia orientale, in particolare nei rapporti tra Corea del Sud e Giappone. Con questa espressione si indicano le decine di migliaia di donne, per lo più coreane, che prestavano servizio sessuale per l’esercito imperiale giapponese durante la Seconda Guerra Mondiale.
Sebbene siano passati decenni dal conflitto, le conseguenze diplomatiche e sociali di questa vicenda persistono, alimentando tensioni che si riaccendono periodicamente.
Nel 2015, un accordo bilaterale firmato tra Seul e Tokyo tentò di mettere fine alla disputa. Il Giappone accettò di versare 1 miliardo di yen a un fondo per sostenere le sopravvissute, e il governo sudcoreano si impegnò a considerare la questione “risolta in modo definitivo e irreversibile”. Tuttavia, molti attivisti e alcune delle stesse vittime criticarono l’intesa, giudicandola insufficiente e priva di una piena assunzione di responsabilità da parte giapponese.
Nel frattempo, la società civile sudcoreana ha mantenuto viva la memoria del trauma, in particolare attraverso l’azione del Consiglio Coreano per la Memoria e la Giustizia (Korean Council for Justice and Remembrance), una delle organizzazioni più attive nel denunciare la violenza storica subita dalle donne.
La guerra commerciale del 2019: risentimenti antichi e interessi moderni
Ma le cicatrici del passato non sono rimaste confinate al solo ambito storico-morale. Nel 2019, un’escalation diplomatica tra i due paesi portò a una vera e propria guerra commerciale. Tutto iniziò con una sentenza della Corte Suprema sudcoreana che obbligava alcune aziende giapponesi, tra cui Mitsubishi Heavy Industries, a risarcire i lavoratori forzati coreani della Seconda guerra mondiale. Tokyo reagì imponendo restrizioni all’export di materiali strategici fondamentali per l’industria tecnologica sudcoreana, come il fluoruro di idrogeno e la poliammide fluorurata.
Seul rispose con la minaccia di non rinnovare l’accordo di intelligence militare (GSOMIA). Nella società civile si diffuse spontaneamente il movimento di boicottaggio dei prodotti giapponesi noto come ‘No Japan’, che coinvolse consumatori, aziende e anche enti locali. In molti casi, la mobilitazione economica si intrecciava con un sentimento di revanscismo storico, in cui la questione delle donne di conforto riaffiorava come simbolo delle ingiustizie mai completamente risolte.
Il Consiglio per la Memoria: giustizia storica o strumento di influenza?
È proprio intorno al Consiglio Coreano per la Memoria e la Giustizia che emergono oggi interrogativi scomodi, legati a possibili influenze esterne. Alcuni osservatori e studiosi suggeriscono che la questione delle donne di conforto possa essere stata utilizzata anche come strumento di propaganda da parte della Corea del Nord, interessata a minare l’alleanza tra Corea del Sud e Giappone, due paesi chiave nella strategia americana per il contenimento del regime di Pyongyang.
Tra gli studiosi più controversi in questo campo c’è J. Mark Ramseyer, docente di diritto giapponese ad Harvard. Ramseyer ha suscitato polemiche internazionali con il suo saggio in cui sostiene che molte delle donne di conforto avrebbero firmato contratti in cambio di compensi, negando dunque l’esistenza di un sistema coercitivo istituzionalizzato. Una tesi ritenuta da molti inaccettabile e storicamente errata, ma che ha avuto eco in alcuni ambienti accademici e mediatici.
Nel suo lavoro, Ramseyer ipotizza anche che alcune ONG sudcoreane abbiano legami opachi con gruppi simpatizzanti del regime nordcoreano. In particolare, egli sostiene che il Consiglio Coreano per la Memoria abbia contribuito a esasperare i toni contro il Giappone in funzione di una strategia più ampia tesa a isolare Seul dai suoi alleati occidentali.
L’ipotesi dell’ingerenza nordcoreana: indizi e retorica
Il sospetto che la Corea del Nord possa sfruttare i temi del risentimento storico per dividere le democrazie asiatiche non è nuovo. Secondo alcune analisi, Pyongyang avrebbe interesse a fomentare il tribalismo anti-giapponese che caratterizza una parte della società sudcoreana. Il termine, discusso dal professore ed economista Lee Young-hoon nel suo libro Anti-Japanese Tribalism, indica la tendenza a costruire l’identità nazionale sudcoreana sulla base dell’opposizione al Giappone, più che su valori propriamente condivisi.
Lee denuncia la manipolazione storica operata da alcune élite culturali e politiche che, a suo dire, alimentano la memoria selettiva delle sofferenze subite sotto la colonizzazione giapponese per motivi ideologici e identitari, piuttosto che storici.
In questo contesto, la questione delle donne di conforto diventa non solo un fatto storico da risolvere con giustizia e rispetto, ma anche un’arma simbolica in una battaglia geopolitica più ampia, dove la Corea del Nord potrebbe giocare un ruolo silenzioso ma efficace.
Conclusione: il passato come campo di battaglia del presente
Il dialogo tra Corea del Sud e Giappone resta oggi fragile e vulnerabile, esposto tanto ai ricordi traumatici del passato quanto alle manipolazioni del presente. La vicenda delle donne di conforto è indubbiamente una tragedia che merita rispetto, memoria e risarcimento, ma rischia anche di diventare un terreno fertile per la strumentalizzazione politica.
Se davvero esiste un’azione deliberata della Corea del Nord per sabotare i rapporti tra Seul e Tokyo, allora è fondamentale che le società civili e le classi dirigenti dei due paesi sappiano distinguere tra memoria storica e manipolazione ideologica. Solo così si potrà costruire una riconciliazione autentica, basata sulla verità, sulla giustizia e sulla responsabilità reciproca, e non sull’uso politico del dolore.