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Native advertising: un nuovo modo di fare pubblicità

Native advertising: un nuovo modo di fare pubblicità
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Negli ultimi anni, anche grazie all’avvento dei social media, si sta radicando un modo alternativo di intendere e fare pubblicità: si parla di pubblicità “nativa” riferendosi ad un contenuto sponsorizzato nel quale l’utente si imbatte durante la propria attività di lettura.  Il lettore, tuttavia, non viene distolto dalla propria attività, come accade peraltro con la pubblicità tradizionale, bensì si ritrova di fronte ad un contenuto appositamente studiato nella forma e nel significato per il contesto nel quale viene inserito allo scopo di creare engagement.

Questo modo di fare pubblicità nasce in seguito all’idea secondo cui se un utente è interessato alla lettura del testo di una pagina web verosimilmente lo sarà anche per la pubblicità in esso contenuta a patto che quest’ultima ne sia parte integrante e non si discosti troppo dall’argomento. Le forme di Native advertising più conosciute sono i formati immagine + testo integrati nel feed dei siti, ma anche i noti True View di Youtube, i Tweet sponsorizzati, i post sponsorizzati di Facebook.

Il concetto di Native advertising, perché sia efficace, va inserito all’interno di una strategia precisa che analizzi obiettivi, necessità aziendali, concorrenza e target di riferimento. In questo modo infatti è possibile adottare la soluzione più adeguata, intercettando il pubblico di riferimento maggiormente interessato al suo contenuto e orientando il tipo di messaggio verso il miglior risultato raggiungibile.

L’utilizzo del native advertising consente anche una maggior flessibilità creativa, attraverso i numerosi assets forniti in fase di creazione (immagini, video, testi) e combinati a seconda del sito nel quale verranno ospitati.

Le sei differenti tipologie di Native advertising

La pubblicità “nativa” presenta diverse modalità di declinazione e a seconda delle caratteristiche può essere divisa in una delle seguenti categorie:

  1. In Feed: inserzioni pubblicitarie inserite nel feed degli aggiornamenti delle varie piattaforme (come le pubblicità di Facebook o Twitter) e riconoscibili per il tag promoted post.
  2. Paid Search: inserzioni per cui si paga allo scopo di comparire nell’elenco delle pagine dei motori di ricerca; fondamentale in questo caso è l’ottimizzazione del messaggio pubblicitario.
  3. Widget con post raccomandati: annunci a pagamento accompagnati da una componente grafica, widget, che ha lo scopo di catturare l’attenzione del lettore e facilitare la sua interazione con il programma.
  4. Promoted listing: inserimento del contenuto da pubblicizzare all’interno di una lista (come nel caso del colosso Amazon).
  5. In-Ad: molto simili ai banner pubblicitari (sia display, sia video), al contempo si differenziano da quest’ultimi per la pertinenza con la linea editoriale della piattaforma.
  6. Contenuto Sponsorizzato: ultimo ma il più adottato, prevede post sponsorizzati, redatti per essere pubblicati su altri siti web.  Si distingue in questo caso la figura dell’inserzionista che produce l’articolo da quella dell’editore che mette a disposizione il proprio spazio.

Publicom: web agency pioniera della pubblicità “nativa”

Tra coloro che hanno capito la portata rivoluzionaria di questo modo alternativo di intendere la pubblicità va annoverata l’agenzia digital Publicom, di cui è portavoce il CEO Giovannipio Gravina, che fa della pubblicità “nativa” uno dei suoi punti di forza.

Laureato nel 2010 al Politecnico di Milano in Ingegneria delle Telecomunicazioni, Gianpio fonda nel 2012 la web agency Publicom la quale si contraddistingue per un approccio data-driven e sulle capacità operative di media buying attraverso la tecnologia. Gravina coordina un team di 20 collaboratori e opera in vari Paesi in tutto il mondo.

La web agency milanese utilizza spesso la native advertising in strategie media integrate senza venir meno ad un alto livello qualitativo di advertising erogata in crossdevice.

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