Lingua madre

L’antipatica alternativa alla “brèta róssa” (e si entra nel turpiloquio)

L’elemento imprescindibile del nostro abbigliamento invernale viene offerto come “aut aut” in un noto detto in dialetto

L’antipatica alternativa alla “brèta róssa” (e si entra nel turpiloquio)

Di Ezio Foresti

Elemento imprescindibile dell’abbigliamento invernale di molti bergamaschi, la brèta ha il pregio di proteggere la testa e, soprattutto, le orecchie, dal freddo. Il Tiraboschi la definisce “copertura del capo di varie fogge e senza tesa”, passando poi a citare la variante brèta de prét, la berretta da prete, quadra e a spicchio.

Chèl di brète è evidentemente il berrettaio, colui che la produce, mentre menà la brèta de contét significa esprimere una grande allegria. Sin qui nulla di anomalo, se non la definizione di un copricapo e la menzione di un modo di dire simpatico e immediatamente comprensibile.

Più oscuro invece è l’altro detto, o mèrda o brèta róssa, che lascia sottintendere la scelta tra due alternative, una delle quali non sembra essere molto gradevole. Il lessicografo bergamasco elenca diverse parafrasi: o asso o sei, o Cesare o Nicolò (dal lat. nihil, niente), o polli o grilli, o principe o marinaro, o barattiere o cavaliere, o tutto o niente. Rimane la curiosità sull’origine della frase, e come spesso accade le ricerche creano ancora più dubbi.

C’è chi dice che il berretto rosso fosse un tempo appeso a una fune, e dovesse essere preso al volo da cavalieri che, se mancavano la presa, cadevano nella copiosa produzione dei puledri. Altri sostengono che fosse invece il berretto dei garibaldini, chiamati a risolvere una situazione ben descritta dal primo termine dell’alternativa.

Il motto venne così ripreso da organizzazioni politiche e citato all’interno di canzoni popolari, mentre per altri il berretto è quello cardinalizio, ed è simbolo di esito favorevole di un’azione rischiosa. Anche se il tentativo di ricostruire la storia delle parole è sempre affascinante, conviene tornare nel seminato, cioè ai frutti della terra, e ricordare che nella nostra lingua brèta è anche la buccia dell’acino d’uva.

*in memoria