Di Ezio Foresti*
Il 21 settembre del 2013, nel Duomo di Bergamo, si svolgeva la cerimonia di beatificazione di fra Tommaso da Olera, a 450 anni dalla sua nascita nella minuscola frazione bergamasca.
L’ultimo tassello del lungo e faticoso processo fu la guarigione straordinaria, nel 1906, di un giovane contadino di Thiene, padre di nove figli. Valerio Bortolo Valentino si riprese da una grave malattia tenendo un’immagine del frate sotto il cuscino. Il malato non era messo bene, perché era affetto da “ileotifo complicato da pneumonite ipostatica” e ormai rantolava.
Il potere taumaturgico di Tommaso del resto era riconosciuto fin da quando era in vita, grazie al suo famoso cucchiaio. Da buon figlio delle nostre montagne, laurà ‘l lègn era una delle sue passioni, e con l’abbondante materiale delle nostre valli intagliava cügià de lègn.
L’esemplare che ci interessa ebbe un ruolo importante addirittura nella storia del Sacro Romano Impero. L’illustre paziente che ne trasse beneficio era niente di meno che l’imperatore Ferdinando II il quale, essendo “aggravato di febbre”, seguì il consiglio del fratello Leopoldo V, arciduca del Tirolo, e si nutrì servendosi appunto dell’umile posata realizzata dal nostro frate. Inutile dire che la febbre cessò e non tornò mai più.
Ma non era un caso isolato. Sembra che i cucchiai di legno del frate fossero rimedi ampiamente conosciuti e diffusi, stando alle testimonianze dell’epoca. Gaspare Grass, lavoratore di cera alla corte di Innsbruck, intorno alla metà del Seicento si prese la briga di stendere un elenco di persone che erano guarite con lo stesso metodo da diverse malattie, anche se sembra che l’efficacia maggiore fosse contro l’innalzamento della temperatura interna.
A ben guardare, il racconto di questo umile oggetto nato dalle mani di un contadino e pastore analfabeta e capace di salvare la vita a un imperatore ha una sua morale, che va oltre la guarigione miracolosa.
*in memoria