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Un turista qualunque al nuovo Museo Bernareggi in Città Alta: è davvero bellissimo

È uno e trino, la parte appena inaugurata merita. Quadri e sculture raccontano la storia dell’arte più che la storia della Chiesa bergamasca

Un turista qualunque al nuovo Museo Bernareggi in Città Alta: è davvero bellissimo

Abbiamo fatto un esperimento. Ci siamo immedesimati in un turista qualunque. Bergamasco ma non troppo. E nemmeno troppo esperto d’arte, a dire vero. Il suo intento è visitare il nuovo Museo Bernareggi, di cui tanto hanno parlato i giornali nei giorni scorsi. E raccontare, senza sofismi e con le parole della gente comune, l’esperienza.

Prima operazione: cercare informazioni in rete. Il museo ahinoi non ha (ancora?) un sito internet dedicato e indicizzato. Google porta dritto a quello della Fondazione Bernareggi. Fuorviante e poco immediato per quei turisti che, come il nostro, vogliono andare al sodo e magari lasciarsi irretire dai contenuti museali, pur virtuali, ancor prima di vederli dal vivo.

Per accedervi occorre cliccare l’apposito link, sulla barra di navigazione. Si apre una sottopagina dove si spiega che il museo, in realtà, è trino: composto dalla parte del Palazzo Vescovile appena inaugurata (e inspiegabilmente messa al secondo posto), dal Museo della Cattedrale e dall’ex oratorio di San Lupo. Solo che la spiegazione è tutta in italiano. Aggiungere almeno l’inglese gioverebbe.

La pagina di prenotazione online, poi, non funziona. Peccato mortale, di questi tempi. Inoltre non c’è alcun canale dedicato su YouTube: come sopra, occorre passare dalla Fondazione. Al contrario, c’è una pagina Facebook, in cui sono riportati gli articoli de L’Eco e i video dell’inaugurazione. Ma anche qui, nessun link per la prenotazione. Dunque se, come il nostro, abitate già appena fuori le Mura le cose si complicano.

Il Museo Bernareggi

Allora, armi e bagagli e si va in Città Alta. Lunedì, tardo pomeriggio. Ci saremmo aspettati un avviso, un cartello, un’indicazione su come arrivare al museo. Nulla. Nemmeno in Piazza Vecchia. Oltrepassate le arcate del Palazzo della Ragione, il Bernareggi resta seminascosto all’estremità destra. Fra la Cappella Colleoni e il Battistero. Defilato, fin troppo. Annunciato solo da un paio di cubi colorati di cartone con un criptico punto e virgola.

Superato il cancello, grazie al cortese invito di una hostess, eccolo, finalmente. Una bella incisione nella pietra grigia recita: «Museo diocesano Adriano Bernareggi». Sul lato opposto, un’altra incisione, discreta, quasi sussurrata: «La bellezza, come la verità, è ciò che infonde gioia al cuore».

Parole del vescovo di Bergamo Francesco Beschi, quasi il museo fosse il suo lascito o, se preferite, il suo dono alla città. Pertanto (…)

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