di Elena Esposto
Il 3 aprile, durante il convegno “Legami che fanno bene”, l’Associazione Le Piane di Redona aveva presentato l’iniziativa “Adotta un caregiver. Un piccolo gesto, una grande differenza”. Sono passati oltre sei mesi e il progetto, nato per portare capillarmente nel quartiere l’approccio di Laboratorio Caregiver Bergamo, a cui Le Piane di Redona aderisce, ha acquisito più struttura, come spiega Mariagrazia Capello, vicepresidente dell’area servizi alla persona dell’associazione: «L’idea del progetto è nata dal riconoscimento della fatica fisica e psicologica dei caregiver del nostro territorio, come ci mostrano bene i dati raccolti da Ats».
Dopo la presentazione di aprile e alcune esperienze pilota nel mese di maggio, il progetto, gestito da un team dedicato, è partito organicamente a settembre e continuerà fino al mese di giugno, grazie anche al supporto di Csv, di Ats, dell’Equipe caregiver dell’Asst Papa Giovanni e dell’Ambito Territoriale.
Spazi di incontro e relazione
L’iniziativa si colloca su tre livelli. Il primo è quello della relazione personale tra i caregiver e le persone che si rendono disponibili all’adozione. Capello precisa che adottare un caregiver non significa subentrare nelle attività di assistenza, ma «offrire il proprio supporto e la propria vicinanza. Ciascuna coppia caregiver-adottante può organizzarsi come meglio preferisce, sentendosi per telefono o andando a prendere un caffè insieme. Basta davvero poco, ma anche i piccoli gesti possono fare la differenza».
Il secondo livello è quello comunitario. Per tre giovedì al mese, dalle 16 alle 17.30, l’associazione organizza uno spazio dedicato di incontro e di attività fisica guidata da Pierangela Formenti, fisioterapista in pensione. «Dal momento che l’affaticamento dei caregiver non è solo mentale, ma anche fisico, proponiamo esercizi di rilassamento e rinforzo motorio», spiega Formenti. Gli incontri diventano poi anche occasioni di condivisione, perché in qualunque momento chi lo desidera può raccontare agli altri la propria esperienza. «È un momento importante di scambio, connessione e aiuto vicendevole», commenta Capello.
L’incontro del quarto giovedì del mese è aperto a tutta la comunità e dedicato ad attività che prevedono anche il coinvolgimento di esperti esterni all’associazione. Tra le proposte: bagni sonori con il gong, letture ad alta voce, laboratori di teatro e incontri sulla corretta alimentazione, fondamentale per mantenersi in salute.
Il terzo livello, gestito dai membri dell’associazione, consiste nell’accompagnamento telefonico per chi non riesce o non desidera partecipare alle attività.
Barriere culturali
Oggi il progetto ha raggiunto venti caregiver del quartiere, che partecipano agli incontri comunitari. «Tre di loro si sono resi disponibili anche ad adottare, e poi ci sono altre quattro adozioni da parte di persone esterne al gruppo», racconta Capello. I numeri non sono altissimi ma, spiegano Capello e Formenti, esistono delle barriere culturali saranno superate solo con il tempo.
«La difficoltà di intercettare i caregiver dipende dal fatto che molti di loro non si riconoscono in questo termine – continua Capello -, oltre che dalla difficoltà ad accettare questo servizio che viene offerto».
«Sono persone non abituate ad avere qualcuno che si prende cura di loro», puntualizza Formenti. A questo si aggiunge il senso di colpa di prendersi degli spazi, che però sono importantissimi: «È necessario un lavoro culturale, spiegare che occuparsi di sé non solo impedisce al caregiver di logorarsi e ammalarsi, ma consente anche di svolgere al meglio le attività di assistenza».
Una goccia nel mare
L’obiettivo del progetto è quello di supportare i caregiver, migliorare la loro qualità di vita, farli sentire visti e riconosciuti nel loro lavoro, ma Capello e Formenti riconoscono che il vero grande bisogno è un altro: «Quello che i caregiver chiedono è di poter essere sollevati dall’incombenza dell’assistenza, di trovare qualcuno che possa prendere il loro posto».