La scuola bergamasca è "vecchia": docenti sopra i 50 anni e per un quarto precari
Se si considera l'anno scolastico in corso sono 3.600 gli insegnanti con un contratto a tempo determinato
L’Italia non è un paese per giovani. A confermarlo non sono soltanto i dati sulla denatalità, ma anche ciò che emerge analizzando il mondo scolastico: a Bergamo un terzo dei professori, nel complesso 3.880, ha più di 54 anni, contro un risicatissimo 3% di under35.
Secondo l’ultimo rapporto Eurydice, a livello europeo, l’invecchiamento degli insegnanti interessa oltre la metà dei sistemi educativi. La pandemia unita all’età avanzata degli insegnanti aggiunge poi un ulteriore elemento «di vulnerabilità ai sistemi educativi nel loro insieme – si legge nel rapporto -, sia per la maggiore fragilità degli stessi, sia per la diffusa difficoltà tra gli insegnanti più anziani di gestire la didattica a distanza attraverso le nuove tecnologie».
L’anzianità dei docenti ha ripercussioni anche sul ricambio generazionale: stime dicono infatti che in Italia, nei prossimi 15 anni, più della metà dei professori andrà in pensione.
Una situazione che diventa “socialmente” esplosiva se si guarda alla condizione generalizzata di precariato. Nella scuola bergamasca un quarto degli insegnanti ha un contratto a tempo determinato; sono 3.600 nell’anno scolastico in corso. E in questa condizione si trovano rappresentanti di ogni età, ma a farla da padroni sono i giovani. Gli under 35 ricoprono infatti oltre la metà dei supplenti orobici.
«Oltre che diffusa, quella di precario è anche una condizione prolungata – sottolinea Paola Manzullo, segretaria generale di Cisl Scuola Bergamo -. Dai 35 ai 49 anni ha un contratto a tempo indeterminato circa un docente su tre. È necessario rilanciare un modello che rivisitando il sistema del doppio canale affianchi ai concorsi ordinari una procedura per valorizzare l'esperienza di lavoro, rafforzandola con opportuni interventi di formazione in servizio».
«Occorre un grande investimento nella stabilizzazione del precariato – conclude Manzullo -, sia docente che Ata, così che la scuola abbia la stabilità necessaria per programmare e gestire in modo ottimale le attività. L’Italia resta tra i Paesi che investono meno nell’istruzione».