Il riconoscimento

A San Pellegrino premio alla carriera ad Angelo Domenghini, storico giocatore dell'Atalanta

Il campione commenta la vittoria dei nerazzurri a Dublino e racconta della sua carriera e dei suoi momenti più importanti

A San Pellegrino premio alla carriera ad Angelo Domenghini, storico giocatore dell'Atalanta
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Da sinistra: Annamaria Quarenghi, Angelo Domenghini, Giampietro Salvi

Mentre proseguono i festeggiamenti per la vittoria atalantina di Dublino, lo scorso mercoledì 29 maggio, a San Pellegrino Terme, il Comitato Coppa Angelo Quarenghi ha premiato Angelo Domenghini, giocatore nerazzurro, prima a Bergamo e poi a Milano, con un riconoscimento alla Carriera.

Domenghini era infatti ospite presso l'Istituto Clinico Quarenghi, per una remise en forme in seguito ad una broncopolmonite che lo ha costretto a letto per diverso tempo. «Angelo Domenghini è una vera e propria leggenda del calcio, ha praticamente vinto tutto ed è senza dubbio uno dei più forti calciatori bergamaschi di tutti i tempi - ha detto il presidente del Comitato, Giampietro Salvi -. Per questo motivo, lo abbiamo voluto omaggiare con un premio alla carriera».

Il parallelo con l'Atalanta di oggi

Classe 1941, è stato ala e attaccante di grande prestanza fisica e dinamismo, capocannoniere in maglia atalantina di quella storica Coppa Italia, primo trofeo – e fino a pochi giorni fa, unico – alzato dalla Dea. In quella finale, era il 2 giugno 1963, il bomber bergamasco (è nato a Lallio, dove ha ancora casa) siglò una tripletta (unica in carriera) al Torino. E allora il parallelo con l'eroe di oggi, Ademola Lookman, che ha portato a casa il pallone da Dublino, viene spontaneo.

«La vittoria dell'Atalanta mi ha fatto un bellissimo effetto. A Lookman auguro di fare tanti goal – ha dichiarato Domenghini -, molto più di quelli che ho fatto io. Dove sono andato sono sempre stato il secondo cannoniere della squadra. All'Atalanta ho bellissimi ricordi. In quella finale di Coppa Italia eravamo sfavoriti e abbiamo vinto, anche senza allenatore».

La carriera calcistica e poi da osservatore

Dall'Atalanta poi il passaggio all'Inter di Herrera (dove Domenghini incontrerà il sanpellegrinese Angelo Quarenghi, medico della società) dove ha vinto tutto: due Scudetti, una Coppa dei Campioni, due Coppe Intercontinentali. E poi al Cagliari, dove il primo anno vinse l'unico Scudetto della storia del Club. Insomma, Domenghini il calciatore delle “prime volte”: eroe indimenticato del primo trofeo con l'Atalanta, in azzurro al primo Europeo vinto dalla Nazionale nel 1968 (contro la Jugoslavia al secondo tentativo: in quegli anni non si andava ai rigori) e tra i protagonisti del primo e unico Scudetto del Cagliari.

La Sardegna è diventata poi la sua casa: «Al Cagliari avevo come mister Manlio Scopigno, che poi mi ha voluto alla Roma. In terra sarda ho solo ricordi belli, e poi lì c'è il mare più bello del mondo. Lo posso confermare, anche se non ho una barca (ride). La mia vita, oggi, si divide tra Lallio e la Sardegna». Una volta appesi gli scarpini al chiodo, Domenghini allena in Serie C in società come Asti, Tortona, Novara e poi torna all'Inter, dove fa l'osservatore per circa quindici anni.

Gli inizi all'oratorio

Tutto è iniziato però al campo dell'oratorio, come nelle vere favole del calcio in bianco e nero. Ma nel caso di Domenghini c'è addirittura del sensazionale: «Fino a 18 anni non avevo mai fatto una partita a 11- racconta - Un giorno ero andato a fare un torneo notturno a 7 con alcuni amici, abbiamo fatto tre partite incontrando anche la squadra di don Antonio, responsabile dell'oratorio di Verdello, e ci hanno battuto. Poi, il giorno dopo, il don è venuto a casa mia per chiedermi se accettavo ventimila lire al mese per giocare nel Verdello, nei dilettanti. E così cominciò la mia carriera calcistica».

Alla fine del campionato dilettante, in molti si accorsero del talento cristallino di quel giovane che, fino all'anno prima, non aveva mai giocato al calcio vero, se non qualche partitella con gli amici. Arriva allora la chiamata dell'Atalanta, che lo porta subito a Zingonia. «All'epoca lavoravo come operaio per sessantamila lire al mese, i miei genitori gestivano una trattoria a Lallio, mi ricordo ancora il bellissimo pergolato con l'uva americana. Poi dopo il campionato con il Verdello arrivò l'Atalanta che mi offrì 150 mila lire al mese. Ci andai di corsa». Il suo esordio nella massima serie arriva a vent'anni, il 4 giugno 1961, contro l'Udinese.

Il ricordo del Mondiale in Messico

Il campione ha sfogliato l'album dei ricordi con una precisione maniacale, soprattutto quando si soffermava sulle formazioni in cui ha giocato e sui compagni di squadra (Riva, Mazzola, Facchetti tanto per citarne alcuni) e ricorda persino i singoli episodi delle partite.

Ricorda anche il Mondiale in Messico del 1970, con la finale persa contro il Brasile 4-1: «Tutti si ricordano la grande vittoria in semifinale 4-3 contro la Germania, ma si va a giocare ai Campionati del Mondo per vincere, non per fare le figurine. Avrei pagato qualsiasi cifra per vincere quella finale». Il Brasile troppo forte? «No, potevamo farcela! Al 65esimo eravamo ancora sull' 1-1. Dall'altra parte c'era uno come Pelè, è vero, ma noi avevamo davanti giocatori come Boninsegna e Riva».

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