Presidente nazionale

Bosio del Csi, rieletto col 99,15%: «Appena possibile riportiamo i ragazzi sui campi»

«Dobbiamo farci trovare pronti: li abbiamo chiusi in casa per un anno senza scuola, senza strada, senza amici, senza sport, poi ci stupiamo se ogni tanto succede una scazzottata»

Bosio del Csi, rieletto col 99,15%: «Appena possibile riportiamo i ragazzi sui campi»
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di Ettore Ongis

Ci sono nomi che sono diventati marchi. Il suo è uno di quelli: se dici Vittorio Bosio, mica tutti ci arrivano a capire di chi stai parlando, ma se dici “Bosio del Csi” è subito chiaro, perché in Bergamasca lo conoscono tutti. La novità è che Vittorio Bosio, 69 anni, sposato, nato sulle rive del lago di Endine e residente a Gorle, dirigente sportivo in pensione, ora lo conoscono in tanti anche in Italia.

Sabato 6 marzo è stato riconfermato per altri quattro anni (“il quadriennio olimpico”) alla guida nazionale del Centro Sportivo italiano. Fa impressione che nell’assemblea elettiva con i delegati da Nord a Sud abbia ottenuto una percentuale che neppure i leader della Bulgaria di sovietica memoria avevano raggiunto: il 99,15 per cento di consensi. Eppure Roma, dove ha sede il Csi nazionale, non lo ha mai attratto più di tanto, come testimonia anche la foto profilo che ha messo su WhatsApp: un paiolo con la polenta.

Presidente, è passato un anno esatto da quando s’è fermato il mondo…

«Se ci alziamo al mattino è già una gran cosa: quest’anno le abbiamo proprio viste tutte. A Bergamo in primis, poi nel resto d’Italia».

Che cosa ha visto?

«Nel primo lockdown passavo le giornate chiuso in casa con il telefono che squillava continuamente: è morto il tale, il tal altro, l’allenatore, il dirigente... Ne abbiamo persi di amici, sembrava tutto irreale. Le prime volte che raccontavo quanto stava succedendo qui da noi, mi chiedevano: ma è proprio vero? Poi in diversa misura hanno vissuto tutti la stessa tragedia, che stiamo ancora provando. Il virus ha portato via una generazione di volontari, tante persone attive nell’associazionismo».

Alla fine della scorsa estate eravate stati i primi a riaprire.

«Eravamo ripartiti con protocolli di sicurezza, avevamo promosso la prima polizza Covid con le assicurazioni, riorganizzato i campionati. Le società sportive si erano svenate per acquistare dispositivi di protezione, si voleva tornare alla normalità. Una domenica sono andato a Grassobbio per dare il calcio d’inizio, di un nuovo inizio. Ma la settimana dopo ci siamo fermati di nuovo: era partita la seconda ondata e lo smarrimento è stato totale, una mazzata peggiore della prima chiusura. Chi avrebbe mai immaginato che saremmo stati fermi per più di un anno?».

Ma lei già guarda al futuro: è stato rieletto col 99,15 per cento… ha un futuro in politica!

«Io non possiedo il physique du rôle del presidente. Ho sempre pensato di fare solo un mandato, la mia ambizione era tornare al Csi di Bergamo. Ma quest’anno sono successe tante cose e quando ho capito che la guida di uno come me, che sta bene in mezzo alla gente, avrebbe potuto aiutare l’associazione a ripartire con fiducia, ho dato la disponibilità alla ricandidatura. Non siamo mai stati così uniti. Sabato all’assemblea è dovuto intervenire il presidente di Brescia per dire che almeno un difetto ce l’ho: quello di essere bergamasco».

Eppure all’inizio non aveva avuto vita facile.

«Il primo anno era stato complicatissimo: non ero gradito e in tanti non me lo mandavano a dire. Poi le cose si sono un po’ distese, ma un gruppo di fieri oppositori l’ho sempre avuto. Adesso è cambiato tutto, avrò partecipato ad almeno 120 assemblee provinciali a distanza, tutti chiedevano la mia presenza perché, dicevano, tu ci infondi coraggio. Non so perché, ho sempre e solo detto le cose che sento e fra queste c’è che ripartiremo: prepariamoci perché ripartiremo».

Prepariamoci in che senso?

«Per un anno abbiamo chiuso in casa le generazioni più giovani, senza la scuola, senza la strada, senza il cortile, senza gli amici, senza lo sport e poi ci stupiamo se ogni tanto succede una scazzottata in piazza. Il giorno in cui si riaprirà dovremo essere pronti e dire alle società sportive di fare l’appello e andare a prendere chi manca. Non potremo ripartire col solito metodo, dobbiamo offrire ai ragazzi un motivo per uscire di casa e togliere loro l’idea che si può vivere bene in pigiama da soli o con i genitori. Senza l’incontro con altri della loro età, che hanno i loro stessi problemi, facilmente possono perdere la stima in loro stessi».

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