La vera storia dell'uomo che ha corso nudo da Albano Sant'Alessandro a Città Alta
Un segnale lanciato al mondo, un fazzoletto sbandierato come un urlo, una richiesta di aiuto
di Marco Oldrati
L’abbiamo guardato con l’aria stupita e un po’ scanzonata, quando sono girate le sue foto nelle chat, ma poi ci siamo dovuti ricredere. Venerdì scorso, 13 novembre, la mattina presto, è partito, nudo, da Albano Sant’Alessandro, ha attraversato Seriate e poi è entrato in città, deve aver percorso tutto Borgo Palazzo, poi Via Pignolo e ha imboccato le Mura. Di chilometri ne aveva già fatti davvero tanti, troppi, quando poco dopo San Giacomo una macchina di un corpo di Vigilanza e una macchina dei Carabinieri l’hanno fermato.
Lui non ha opposto nessuna resistenza, si è seduto e i carabinieri l’hanno messo in macchina: l’hanno portato all’Ospedale, dove si sono presi cura di lui. E poi è venuta a galla, come dalla nebbia, la sua storia. Ha più o meno la mia età, da tempo è pesantemente giù di corda. Non userò le parole dei dottori, non ci riesco a dire che è depresso, ma forse è così. Suo padre è stato portato via dal Covid, da questa brutta bestia che non riusciamo a prendere né per le corna né per la coda. Se n’è andato, il suo “vecio”, questa primavera, insieme a tanti altri, magari insieme ai camion che hanno portato molti dei nostri a “sparire” nei forni lontano da qui, da casa.
È rimasto con sua madre, che forse è sola quanto lui, ma ha un figlio e lo tiene con sé e quando non l’ha trovato nel suo letto venerdì mattina e ha visto i vestiti lì, tutti lì, si dev’essere presa uno spavento colossale. Che fì l’à fat ol me scet? Penso a mia madre che nonostante io vada per i cinquantadue s’incazza ancora quando sente che sono andato sul Canto Alto da solo e mi immagino questa donna davanti al vuoto di quella camera da letto.
E poi vedo lui, a piedi nudi, e non tirate fuori Abebe Bikila: provate voi a correre a piedi nudi per cento metri sull’asfalto fuori da casa vostra, non nudi, vestiti, ma con i piedi nudi e provate a registrare i decibel delle vostre urla per i piedi scorticati. E avete fatto cento metri. Correre è un momento di gioia, un segnale di amicizia, un gesto di salute, ma anche un fazzoletto sbandierato come un urlo, una richiesta di aiuto. E quello di quest’uomo lo era, tremendo.
Pensate, mettetevi nei suoi panni: da Albano fino a Città Alta, nudo, a piedi nudi. Lo ripeto, ma non perché non l’abbiate capito, perché mi rimbalza in testa il freddo, le fitte ai piedi, la sensazione di non sapere che cosa sto facendo, ma di sapere benissimo perché.
Correre è un gesto, ma non delle gambe, dell’anima. L’anima tormentata di una persona che ha dovuto fare del male al proprio corpo in una maniera tenera, tanto da non esprimere nessuna ribellione quando l’hanno fermato. La sua non era smania di autodistruzione, non si era drogato o ubriacato, non si era lanciato giù da un ponte o contro un treno. Si è messo a correre, ha parlato il linguaggio della fatica che ognuno dei lettori di questa pagina parla con il sorriso sulle labbra.
Spero di incontrarlo, quest’uomo, senza dirgli niente, solo per correre – con le scarpe, tutti e due con le scarpe e con i vestiti addosso – e dargli la sensazione che abbiamo sentito il suo grido e che, se vuole correre, se vuole vivere, noi saremo felici di essere i suoi compagni di viaggio.