Tutti di corsa (ora anche fuori dal Comune), l'ultima spiaggia degli sportivi
Premiata (con il decreto della vigilia di Natale) nella sua devastante semplicità di sport che non ha bisogno d’altro che della voglia di farlo
di Marco Oldrati
Il criceto cominciava ad averne piene le tasche della gabbia e per una volta può ringraziare il Governo, pur se con moderazione e con le riserve prudenziali per il futuro. Dopo essere stato confinato intorno ai muri di casa o dell’isolato, con dei limiti (i famosi 200 metri) che spingevano alcuni corridori a studiare la distanza massima raggiungibile in rapporto a interpretazioni più o meno rigorose delle norme emanate, il runner questa volta l’ha avuta vinta e ha potuto “espatriare”.
Come? Non ha varcato altro che i confini del proprio comune di residenza, con l’obbligo di partire da casa e tornarci sempre di corsa, ma se non altro non ha guardato con rabbia e tristezza i cartelli che delimitavano i confini comunali, non si è fatto selfie da Muro di Berlino appoggiandosi agli stessi cartelli con un’aria sconsolata, non ha cercato di “farla sporca” andando per strade di campagna pronto a fare la recita dell’ingenuo che – incontrando l’autorità costituita – fingesse di non sapere che aveva invaso la terra straniera di un altro territorio comunale.
Diciamo che qualcosa dagli errori si impara. Se in un primo tempo ci era sembrato quasi vessatorio il divieto di allontanarci dal nostro edificio di residenza o domicilio, possiamo dire che il legislatore l’abbia capita e si sia accorto di quanto sia difficile pensare che andare a correre per ciclabili e strade date le caratteristiche stesse della corsa fosse un comportamento a rischio contagio: la corsa non è un’attività che si svolge stando uno di fronte all’altro a distanza ravvicinata, anzi, ha caratteristiche pratiche tali da impedire di stare vicini, al limite due persone possono correre affiancate, ma per ragioni pratiche hanno il viso (e quindi il flusso di respirazione) rivolto nella stessa direzione. Certo, dirà qualcuno, possono finire per respirare l’uno i droplet o l’aerosol dell’altro, ma – perdonerete ancora una volta il senso pratico un po’ grezzo – se c’è una cosa che il virus ci ha fatto capire questa è la tracciabilità e figuratevi se non ci si ricorda a fianco di chi si è corso, soprattutto in un’epoca in cui le gare sono state abolite e il massimo che si riesce a fare è correre con qualche amico, anzi, sempre con gli stessi e in gruppi costituiti da un numero di corridori estremamente contenuto.
E così la saga del corridore che supera i confini è sembrata quasi una riedizione della Compagnia dell’Anello di Tolkien che varca il confine delle terre conosciute e si addentra nella più grande storia che la Terra di Mezzo ricordi … “provinciali” ritornati a gustarsi le Mura dopo lunga astinenza, “cittadini” lanciati a ripercorrere la Green Way lungo il Morla e il Quisa, “valligiani” che hanno riassaporato i sentieri dei trail attraversando senza timore le linee demaniali di suddivisione fra le contrade.
Uno spettacolo nello spettacolo è stato generato dal fatto che la corsa è diventata una specie di ultima spiaggia, per tutti coloro che a diverso titolo volevano fare sport: da chi non poteva andare in palestra, a chi aveva troppo freddo per andare in bici oppure aveva paura di ghiaccio e neve, da chi si era trovato le piscine chiuse a chi – preventivamente o in forma punitiva – voleva metter giù qualche chilo prima delle feste o dopo le crapule natalizie, i corridori si sono moltiplicati, a qualsiasi orario del giorno, dalla mattina alle cinque e mezzo alla sera alle dieci, sfruttando tutte le ore consentite prima dei battiti del Campanone o dopo la sveglia da insonne.
E la corsa, nella sua devastante semplicità di sport che non ha bisogno d’altro che della voglia di farlo, ha ribadito una delle più grandi e potenti ansie di normalità che questo periodo ci ha scavato nella pelle e negli sguardi: mi permetto di interpretare questa miriade di formichine più o meno lente che un satellite o un drone potrebbe aver visto dall’alto come un anelito ad una libertà che ha le forme semplici di poter superare un cartello bianco con il nome di un comune e una fascia rossa che lo attraversa diagonalmente senza timori, senza partire di casa senza la carta d’identità per non essere identificabili come residenti altrove.
Il Covid è una brutta bestia, che ci ha tolto molti dei gesti più naturali e belli che caratterizzano la nostra vita, gli abbracci, i baci, le strette di mano, ma correre è rimasta una delle più belle forme con cui possiamo rappresentare la nostra voglia di andare oltre, di superare tutto questo. Sorridendo per la gioia di aver corso e non aver sentito per un po’ di tempo il peso di tutte queste limitazioni.