50 anni di "Dottor Stranamore" Un capolavoro ancora attuale
Nel 1964, in piena guerra fredda, le Olimpiadi di Tokyo rappresentano, per il Giappone sconfitto nel secondo conflitto mondiale, il primo momento di una lunga e lenta ripresa. La situazione internazionale però è tesissima: i rapporti fra i due blocchi si fanno sempre più problematici e la minaccia di una battaglia atomica a livello globale è molto alta. Nella coscienza collettiva degli americani è ancora ben presente l’ideale della caccia alle streghe e i comunisti sono visti e raccontati dai media come i nemici da abbattere a tutti i costi. Proprio in questo delicatissimo periodo, mentre Sergio Leone realizzava Per un pugno di dollari, Stanley Kubrick firma Il dottor Stranamore, un manifesto filmico di grande potenza e maturità, realizzato incredibilmente proprio durante lo svolgimento dei fatti che andava raccontando. Il film, conosciuto anche nella versione più completa Il dottor Stranamore, ovvero come imparai a non preoccuparmi e ad amare la bomba, denuncia sin dal titolo la sua volontà di giocare in maniera libera con il terrore atomico (la bomba), rovesciandolo continuamente e in maniera imprevista nella parodia di se stesso: l’opera è costellata di situazioni surreali, personaggi comici e grotteschi, dialoghi sopra le righe e pregni di una amara ironia.
Tutto comincia con un malinteso, una notizia falsa che riferisce di un attacco nucleare ad opera dei russi. La tensione, dopo anni di preoccupata attesa, si scioglie e il generale americano Jack D. Ripper (Jack lo squartatore, non a caso), ordina ai suoi bombardieri di procedere al contrattacco. Ripper si rivela ben presto come un folle, eppure non è dipinto come un personaggio fuori dagli schemi: è un militare come gli altri, come ce n’erano molti all’epoca, schiacciato da un’ansia più grande di lui. La follia di una guerra che non si manifesta - ma non per questo non è percepibile - sovrasta le possibilità psichiche dei soldati, anche dei più preparati, e Jack Ripper ne è l’esempio perfetto.
Il comando americano, nell’impossibilità di arginare i danni provocati dall’ordine richiamando i bombardieri, invia una divisione di fanteria per costringere il generale a bloccare l’attacco. Nel frattempo la via diplomatica non è abbandonata e attraverso dei divertenti siparietti che mettono in contatto il presidente americano con il premier russo si viene a scoprire che l’Unione Sovietica ha predisposto il cosiddetto “Ordigno fine del mondo”, arma definitiva in grado di causare una pioggia radioattiva capace di annichilire la vita sulla Terra per circa un secolo. È singolare che in un film americano, ma che per certi versi dell’America si fa beffa, venga riportato un aneddoto del genere: dopo la caduta della bomba atomica su Hiroshima, per lungo tempo aveva avuto credito la voce secondo cui la vita nella città sarebbe stata impossibile per più di 75 anni. Kubrick, certamente, conosceva questo dato e non è un caso che abbia deciso di mettere in relazione il terrore atomico con la prima e forse più terribile delle sue manifestazioni: l’esplosione che causò, fra l’altro, la terribile Pioggia nera di cui parla, nel romanzo omonimo, Ibuse Masuji.
L’instabilità mentale che domina nel periodo del terrore nucleare messo in atto dalla politica delle due superpotenze è ancora una volta affidato alla fobia di Ripper. Come si avrà modo di scoprire in seguito grazie al Colonnello Mandrake, il militare americano temeva che i sovietici avessero sviluppato una tecnologia in grado di contaminare l’acqua potabile, scusa che Ripper utilizza anche per giustificare la propria impotenza sessuale. Privato e pubblico si mescolano dunque in un mélange inestricabile e da cui è impossibile trovare un senso, proprio perché – Kubrick sembra suggerire – l’azione bellica, anche quando agisce in modo non evidente e “esplosivo”, non è mai giustificata da argomentazioni razionali.
A circa due terzi del film, quando la situazione sembra ormai in uno stallo immobile, fa la sua apparizione il dottor Stranamore, paraplegico scienziato nazista naturalizzato americano, che ricopre la carica di direttore allo sviluppo delle armi nucleari. Anche in questo Kubrick non ha finto più di tanto: è risaputo che, dopo la fine della seconda guerra mondiale, alcune fra le più brillanti menti allevate dal regime nazista vennero naturalizzate negli USA e che la loro conoscenza, unitamente ai dati sugli armamenti e sulle tecnologie belliche tedesche, venne utilizzata per rendere possibile la corsa allo spazio e, infine, l’allunaggio avvenuto nel 1968.
Dopo numerose traversie, fra cui la conquista della base di Ripper e il suicidio di quest’ultimo, viene infine emanato l’ordine di rientro per i bombardieri, che tornano alla base senza difficoltà. Solo uno di questi prosegue nella sua folle corsa verso l’autodistruzione, mentre la suspense impostata da Kubrick attraverso sottili rimandi al contesto storico cresce continuamente. Nonostante i numerosi tentativi messi in atto per abbattere il velivolo alla fine questo raggiunge l’obiettivo e mentre il suo capitano cavalca l’ordigno nucleare come un toro da rodeo, sventolando il suo cappello da cowboy, l’arma sovietica si attiva. Il disastro è inevitabile e il dottor Stranamore, dominato da divertenti ma profondamente inquietanti tic di memoria nazionalsocialista, propone al Presidente di mantenere in vita la popolazione nei suoi membri più rappresentativi e in salute, approntando delle sistemazioni all’interno delle miniere, dove le radiazioni derivanti dalla pioggia nucleare non sarebbero state in grado di arrivare. Gli alti funzionari del governo si allontanano, mentre We’ll meet again, canzone simbolo della seconda guerra mondiale, accompagna l’apparire dei titoli di coda.
Il film di Kubrick, come si vede molto bene da questa analisi sommaria, rappresenta ancora oggi (a cinquant’anni di distanza dalla sua uscita) forse il miglior esempio di cinema sulla guerra fredda e di cinema politico in generale. Si tratta infatti di un film militante che, nel pieno dello svolgimento dei fatti, li commenta senza risparmiarsi una feroce parodia rivolta anche alla sua stessa patria. Mettendo alla berlina i rappresentanti politici delle due superpotenze, Kubrick critica il clima di tensione e nevrosi collettiva che stava innervando gli Usa in quel periodo, vittime di una minaccia invisibile ma non per questo meno imminente. In tutto questo la figura adorabile del dottor Stranamore assume comunque i contorni apocalittici della follia e ricorda con una chiarezza assolutamente inquietante gli eventi, ancora ben impressi nella memoria collettiva del pubblico, della seconda guerra mondiale.