Foreman e il ricordo della notte «in cui Alì mi insegnò a ballare»
È tornato a parlare di quella notte George Foreman, e lo ha fatto con Emanuela Audisio, l’inviata a New York di Repubblica, che il 26 ottobre ha pubblicato un’intervista al pugile sul sito web del quotidiano. L'articolo comincia con una considerazione della giornalista su quello che è stato l’incontro di quel 30 ottobre del 1974: «Per la prima volta - scrive la Audisio - un ring fece meglio e più di Shakespeare: illuminò una tragedia, spiegò uomini e continenti, rivoluzionò sport e società. È passato alla storia come "Rumble in the Jungle"».
1974. Il dittatore della Repubblica Democratica del Congo (conosciuta allora come Zaire) Mobutu Sese Seko - che detenne il potere dal 1965 al 1997, anno della sua morte - convinse il celebre organizzatore di pugilato statunitense Don King a portare a Kinshasa, nel centro dell'Africa, il match tra Muhammad Ali e George Foreman. The Rumble in the Jungle, il rombo nella giungla fu uno dei più importanti eventi sportivi del secolo scorso e forse della storia. Originariamente il match era previsto per settembre, ma Foreman, a causa di un problema ad un occhio, chiese il rinvio di un mese. L’incontro si tenne la notte del 30 ottobre e nelle orecchie di molti appassionati risuona ancora il celebre coro dei cinquantamila spettatori africani che allo Stadio 20th of May accompagnò la lotta tra i due pugili sul ring: «A-lì bo-ma-ye! A-lì bo-ma-ye!» Uccidilo, Alì.
Foreman era entrato nella scena pugilistica nel 1968, con l’oro alle Olimpiadi di Città del Messico. Alì era tornato a praticare la nobile arte dopo il termine della sospensione della licenza pugilistica, revocatagli nel 1967 per essersi rifiutato di andare a combattere in Vietnam. Per guadagnarsi il match di Kinshasa, Alì aveva vinto (non senza fatica) contro Norton e Frazier, avversari che Foreman aveva battuto in due round. Alì aveva allora già più di trent’anni, ed era in fase fisica calante. Foreman di anni ne aveva venticinque ed era largamente considerato il favorito: stava fisicamente meglio, ed era molto più giovane e potente. Alì quella notte esibì una boxe a dir poco celestiale e vinse il match in 8 round, con una strategia inimitabile. Durante i primi round usò soltanto il pugno destro e incassò colpi a ripetizione. Appoggiandosi alle corde assorbì la maggior parte dei pugni di Foreman, che intanto prendeva pochi (ma molto incisivi) colpi al fegato e ai reni. Nel video dell’incontro, è ancora possibile sentire la voce di Alì che durante l’incontro cercò di piegare psicologicamente Foreman con frasi come: «George, tutto qui?». All’ottavo round, Foreman finì al tappeto.
Il match è passato alla storia. Ci hanno fatto anche un film, When We Were Kings (Quando Eravamo Re), che vinse l’Oscar come miglior documentario nel 1996. Quella sera, sul palco dell’Academy, Foreman aiutò Alì, afllito dal morbo di Parkinson, a camminare fino al palco per prendersi il premio. Dopo l’incontro, infatti, i due diventarono grandi amici, tanto che in un intervista al Telegraph del 2012 Foreman disse: «Combattemmo nel 1974, molto tempo fa. Dopo il 1981 diventammo meglio che amici. Dal 1984, ci amavamo l’un l’altro. Non sono più vicino a qualcuno in questa vita di quanto non lo sia a Muhammad Alì». Un altro film che dipinge meravigliosamente la vicenda è il bellissimo Alì di Michael Mann, con Will Smith nella parte del pugile americano. Norman Kingsley Mailer, grande giornalista ed intellettuale americano del secolo scorso (vincitore di due Pulitzer e del National Book Award – il più prestigioso riconoscimento letterario americano), ci scrisse un libro, The Fight (La Lotta), e l’incontro andò a vederlo di persona a fianco di un altro grande giornalista, George Plimpton, inviato del magazine Sports Illustrated. Anche quest’ultimo scrisse un libro sull’incontro, Shadow Box (Allenarsi con l’ombra, termine inglese usato nella cultura boxistica). I guanti e l’accappatoio che Alì usò quella sera sono conservati al Museo Nazionale di Storia Americana di Washigton.
Vi consigliamo di leggerla, l’intervista di Repubblica. Foreman parla dell’incontro, del fatto che in Africa gli mancassero i suoi amati cheesburger, dei suoi cani che terrorizzavano tutti, dell’aria condizionata in cui s’immergeva prima del match. E poi parla del suo ritorno alla boxe a 46 anni, di Muhammad Alì, della visione di Dio che ha avuto nel ’77 in uno spogliatoio di Portorico. Sul suo ritorno e su Alì ha detto: «Venti anni dopo Kinshasa. Indossavo gli stessi calzoncini di velluto rosso di allora. È stato bellissimo. Avevo più grazia, ero meno animale, più consapevole. Come se avessi imparato da Ali a ballare un po' anch'io. Mi sono inginocchiato, ho pregato, ho pensato a quella notte africana che mi aveva fatto soffrire così tanto. Non esisteva più, tutto quel dolore per niente. Era stata solo una grande occasione che io non avevo capito. Se l'avessi fatto, avrei abbracciato Ali e gli avrei detto che quella notte era un'alba che ci apriva un grande futuro. Per questo gli voglio bene. Non è più un nemico. Condannandomi, mi ha fatto rinascere». Una grande storia di uomini e sport.
Qui l’intervista completa.
Qui sotto il video dell'incontro di Kinshasa.
http://youtu.be/tasCLcSslj4