I castelli della bergamasca Ecco a voi Romano di Lombardia

Grazie alle Giornate castelli aperti, sette comuni della pianura bergamasca, ogni prima domenica del mese, apriranno congiuntamente le porte dei loro castelli, palazzi e borghi medievali (qui il sito ufficiale). Domenica 3 maggio è il terzo appuntamento dell'iniziativa, inaugurata due mesi fa. Ecco cosa scoprire a Romano di Lombardia.
Guardando dall’alto Romano di Lombardia si vede a colpo d’occhio il nucleo centrale del paese: una sorta di scudo allungato, con la punta rivolta a sud. Il nuovo borgo fu fondato nel 1171, a seguito di un’accesa controversia tra il vescovo di Cremona e quello di Bergamo per il controllo del borgo, perché quello antico era collocato proprio sulla linea di confine tra le due giurisdizioni: esso fu quindi ricostruito un po’ più a nord, in territorio bergamasco. Il nuovo centro abitato, con edifici addossati l’uno contro l’altro e le strette vie, era circondato da una possente cinta muraria, nella quale si aprivano solo tre ingressi: porta Bergamo a nord, porta Cremona a sud e porta Brescia a est, l’unica ancora visibile al termine del porticato della Misericordia. L’odierna strada alberata, che cinge in un tutt’uno raccolto il paese, ricalca proprio le antiche mura, a loro volta protette da due canali difensivi. Romano, del resto, trovandosi vicino al Fosso Bergamasco (diventato nel 1428 confine di Stato tra Venezia e Milano), ha mantenuto anche nei secoli successivi una scomoda posizione di confine, diventando teatro di continue scaramucce tra i diversi poteri.
Le quattro torri angolari. La rocca di Romano è collocata nell’angolo nord-ovest della cinta muraria, in funzione difensiva. Nel corso dei secoli ha subito vari rimaneggiamenti, fino a raggiungere l’attuale conformazione: una pianta quadrata con quattro torri angolari, collegate tra loro dai camminamenti di ronda. Il complesso architettonico era circondato da un profondo e ampio fossato riempito di acqua di risorgiva interna (caratteristica che impediva ai nemici di prosciugarlo). Colmato negli anni venti dell’Ottocento, il fosso oggi è tenuto a prato perenne ed è molto frequentato: i bambini si rincorrono, i giovani si incontrano sulle panchine e i signori di mezza età chiacchierano portando a passeggio i loro cani. Ma queste mura hanno visto battaglie e occupazioni militari e vissuto avvicendamenti politici di casati diversi.




















Delle quattro torri la più antica è quella a sud-est (a sinistra guardando l’ingresso), costruita probabilmente in concomitanza della rifondazione del borgo. Qui, al piano terra, era collocata la prigione di emergenza, per i reati meno gravi, mentre al primo piano si trova un piccolo luogo di culto (la “chiesiola della rocca”), di cui rimane traccia, oltre che in alcuni lacerti di affreschi e nelle costolonature all’interno, nel piccolo campanile a veletta (usato, all’occorrenza, per richiamare la popolazione in caso di pericolo). Oggi ospita le sale espositive del Museo della Memoria della comunità di Romano, che raccoglie i documenti relativi alle vicissitudini belliche dei combattimenti e reduci romanesi.
A destra dell’ingresso è visibile la torre più imponente (nord-est), costruita sotto i Visconti e rafforzata in epoca colleonesca con l'aggiunta, sulla sommità, di beccatelli e piombatoi tipicamente quattrocenteschi, necessari per difendere la rocca in caso di attacchi nemici. Questa era la fortificazione più importante, in quanto stava a guardia dell’altrettanto massiccia porta settentrionale delle mura cittadine, da cui partiva la strada che portava a Bergamo.
Nella terza torre sull’angolo sud-ovest, anch'essa di epoca trecentesca ma modificata in senso difensivo nel secolo successivo, si nota una stretta apertura, anticamente dotata di un piccolo ponte levatoio: la “pontesella del soccorso” consentiva non solo di contrattaccare a sorpresa gli assedianti sopra il fossato, ma anche, grazie ad alcuni passaggi e cunicoli nascosti, di uscire dal borgo cittadino e fuggire nella campagna in direzione Milano. La loggetta addossata alla torre fu costruita per volontà del Colleoni, che poteva così godere del paesaggio sulla pianura, dove lo sguardo arrivava fino al fiume Serio e oltre.
La quarta torre, architettonicamente più modesta, è la più recente. Edificata nel Seicento, vi furono addossati i terrapieni, ora erbosi, necessari per far fronte alle mutate necessità difensive: la polvere da sparo e le armi da fuoco erano diventate i nuovi strumenti dell’arte della guerra.
Le merlature, visibili soprattutto sul lato occidentale, sono di carattere ghibellino (a coda di rondine) e documentano la fase costruttiva trecentesca, legata alla figura di Bernabò Visconti. A causa del succedersi dei domini e degli orientamenti politici, alcuni suoi tratti presentano però alcuni riadattamenti di stampo guelfo (a forma squadrata).








Interno. Come per altri castelli della nostra pianura, anche la storia della rocca di Romano deve il suo periodo di maggiore sviluppo a Bartolomeo Colleoni, glorioso condottiero al soldo prima dei Visconti di Milano e poi, più a lungo, della Repubblica Veneta. La sua influenza si riscontra non solo nel consolidamento architettonico delle torri, ma anche nell’abbellimento dei locali interni, che per i primi due secoli dovevano essere rimasti alquanto sobri, con una valenza prettamente militare. Nella seconda metà del Quattrocento, Colleoni si occupò di ingentilire il castello, per renderlo più adatto a ospitare in modo piacevole e sfarzoso la sua famiglia, che soggiornava nel piano nobile.
Il grande portale d’ingresso, sul fronte orientale, è protetto da un avancorpo a torre, originariamente munito di un ponte levatoio (sostituito dall’attuale in muratura nel primo Ottocento). Sulla sua facciata sono ancora visibili oltre alla pusterlina (porta per il passaggio pedonale), anche le scanalature in cui erano alloggiate le travi di legno a cui il ponte si legava tramite corde e catene (oggi è tutto murato).
Varcato il portone, dopo aver superato a sinistra la porta della prigione di emergenza, si accede alla Corte Grande, pavimentata in acciottolato, dove si svolgevano le attività militari. Avvolta su tre lati da un ballatoio cinquecentesco in pietra, vi si affacciano le finestre colleonesche trilobate, che ricordano gli eleganti palazzi veneziani. Sulle pareti, oltre ad alcuni lacerti di affreschi poco decifrabili, si ammira il grande leone alato di San Marco, chiaro omaggio all’alleanza con Venezia. Sulla destra si accede al Cortile della cancelleria veneta o della Prigione, molto piccolo e quasi privo di luce, su cui affaccia la torre nord-est. Percorrendo le scale fino alla loro sommità, si possono ancora vedere le buie celle delle carceri principali, nelle quali erano rinchiuse le persone già giudicate e dove il Colleoni confinava le spie e i soldati infedeli.
Tornando nuovamente all’esterno, è interessante soffermarsi sulle diverse tessiture murarie del castello: si passa dal laterizio in cotto (collocato nei basamenti, affinché fossero ben squadrati e piantati nel terreno, o nelle parti difensive alle estremità superiori) ai sassi di fiume arrotondati legati tra loro con malta (nelle sezioni centrali), fino a parti misti in cui il ciottolame fluviale, disposto a spina di pesce, si alterna con i mattoni, in una composizione variegata e colorata.
Ed è proprio osservando la facciata d’ingresso e fantasticando sul passato glorioso di queste mura che si potrà intravedere un anziano signore che, aprendo le finestre, innaffia le primule di primavera sui davanzali in pietra. No, non è il fantasma del Colleoni. È il custode del castello che, ereditando la professione di generazione in generazione, sorveglia e controlla l’antica fortificazione, testimone della storia del castello che continua ancora ai tempi nostri.
[Foto ©Arianna Bertone]