A Palazzo Reale, dal 2 settembre

Che c'entra Giotto con Milano Una mostra da non perdere

Che c'entra Giotto con Milano Una mostra da non perdere
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Arriva Giotto a Milano. Dal 2 settembre anche il grande pubblico, dopo l'inaugurazione di martedì, potrà godere questa eccezionale adunata di 13 opere di uno dei più grandi artisti della storia. 13 sembra un numero esiguo, in realtà rappresentano una gran parte delle opere "mobili" del maestro fiorentino ( le sue imprese più famose sono gli affreschi, da Assisi a Padova a Firenze). Sono 13 ma alcune di dimensioni assolutamente monumentali. Come il grande Polittico Stefaneschi, dipinto intorno nel 1315, per l'altare maggiore della vecchia basilica di San Pietro. Un polittico straordinario, alto, con la base di quasi quattro metri, dipinto da ambo i lati, e che mai prima d'ora aveva lasciato il Vaticano.

Ma c'è un aspetto curioso di questa mostra. Perché un’esposizione di Giotto a Milano sembra un po' fuori contesto, un po' come se si organizzasse una rassegna di Tiziano a Firenze o di Botticelli a Venezia. Ogni pittore lega la sua storia a determinate città ed è naturale che siano quelle città a organizzare loro mostre e tributi. Invece, in occasione di Expo, si è voluta organizzare questa impegnativa rassegna, non solo perché Milano sta cercando di assumere il profilo di città internazionale, ma perché, anche se pochi lo sanno, Giotto ebbe a che fare con la capitale meneghina.

 

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[Il Polittico Stefaneschi, fronte e retro]

 

È un episodio che risale all'ultimissima fase della vita del pittore. Era il 1535, Giotto aveva ormai quasi 70 anni ed era una assoluta autorità a Firenze. Era il numero uno, a cui la città aveva affidato la direzione dei cantieri più importanti, a cominciare da quello del grande Duomo. Era un’eccellenza anche a livello nazionale, perché aveva lavorato dappertutto, cambiando ovunque la storia della pittura. Era stato a Roma per il Papa e aveva operato a Napoli sotto gli angioini. E poi Rimini, Bologna, Padova. Ovunque lasciando opere memorabili. A Milano venne mandato in extremis dagli amministratori fiorentini per una ragione che era del tutto politica. La città dei Visconti infatti era in grandissima ascesa e stava assumendo un ruolo chiave nello scacchiere italiano. Per tenerla buona e dare segni di amicizia, Firenze pensò bene di inviare la sua figura in quel momento più rappresentativa: l'artista che Dante stesso aveva consacrato come il migliore del suo tempo, in un celebre passo del Purgatorio (Purgatorio, XI, 94-96: «Credette Cimabue ne la pittura / tener lo campo, e ora ha Giotto il grido, / sì che la fama di colui è scura»).

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Polittico Stefaneschi. II decennio del Trecento Tempera su tavola Città del Vaticano, Musei Vaticani.

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Polittico di Bologna 1332-1334 ca. Tempera su tavola Bologna, Pinacoteca Nazionale Mondadori Portfolio/Electa. Su concessione del Ministero per i Beni e le Attività Culturali e il Turismo: Polo museale dell’Emilia Romagna. Archivio fotografico.

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Polittico Baroncelli e dettaglio 1330 ca. Tempera su tavola Firenze, Basilica di Santa Croce Proprietà Fondo Edifici di Culto del Ministero dell’Interno Archivio fotografico dell’Opera di Santa Croce.

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Dio Padre in trono, dettaglio 1303-1305 ca. Tempera su tavola Padova, Musei Civici di Padova Su gentile concessione del Comune di Padova - Assessorato Cultura Turismo e Innovazione.

Così Giotto arrivò a Milano con tutto un seguito di allievi ma anche di rappresentanti dell'amministrazione fiorentina. Arrivò e si piazzò per quale mese alla corte di Azzone Visconti, allora signore della città, mettendosi al suo servizio. A cosa lavorò Giotto i quei mesi? Resta un mistero, perché di quella che era la corte dei Visconti oggi non resta più nulla, essendo stata trasformata nel 700 nell'attuale Palazzo Reale, proprio dove la mostra si tiene. Dipinse, pare, una serie di uomini celebri dell'antichità ai quali aggregò, a quanto sembra, lo stesso Azzone. Ne riferisce ammirato qualche cronista del tempo. Per il resto Giotto a Milano lavorò indirettamente, mettendo all'opera due tra i suoi migliori allievi. Giottino, che ha dipinto una grande Crocifissione custodita ancor oggi nella chiesa di San Gottardo, che un tempo era la cappella ducale. Soprattutto affidò a Stefano Fiorentino il cantiere del grande tiburio dell'Abbazia di Chiaravalle. Sono affreschi stupendi, in una delle più belle chiese milanesi, che sorge già in piena campagna, a sud della città. La mostra di Giotto può essere un'ottima occasione per conoscerla. O per riscoprirla.

[Per le foto del backstage della mostra, rimandiamo agli scatti di Repubblica]

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