Il film da vedere nel weekend Finché morte non ci separi

Regia: Tyler Gillett, Matt Bettinelli-Olpin.
Con: Samara Weaving, Adam Brody, Mark O'Brien, Henry Czerny, Andie MacDowell.
Dove vederlo a Bergamo e provincia: qui.
Piaccia o no, il cinema horror è senza dubbio quello più rappresentativo del nostro contesto storico, sociale e culturale. La sua capacità di illuminare - in chiave più o meno metaforica - insicurezze e ansie condivise, lo rende la cartina al tornasole ideale per misurare le tensioni collettive di un’epoca quantomai incerta e inquietante. Lo si è visto più volte, ad esempio in un film recente come Us di Jordan Peele, agghiacciante favola nera sull’americanità e sulle esclusioni fondative che la costituiscono. Lo vediamo, di nuovo, in un film coraggioso come Finché morte non ci separi, in questi giorni al cinema. Protagonista della vicenda è Grace, una giovane ragazza in procinto di sposare Alex. Per rispettare una strana tradizione della famiglia di lui (ma in quella casa sono tutti piuttosto particolari, quindi nessun grido d’allarme), accetta di partecipare a un gioco la notte prima delle nozze. Ebbene, purtroppo per lei, il gioco si rivelerà essere una spietata caccia all’uomo in cui lei - vittima sacrificale - avrà l’obiettivo di sopravvivere fino all’alba.
Niente di nuovo sotto il sole, verrebbe da dire, e in parte è così. La vicenda del gioco che si trasforma in predazione è in effetti piuttosto battuta dall’horror contemporaneo (e non solo), ma Finché morte non ci separi utilizza questo topos di base per dare forma a un quadro stilisticamente ricercatissimo e di grande ispirazione. La parabola perversa del gioco mortale diventa soprattutto la metafora di una condizione sociale privilegiata (la famiglia di Alex è molto ricca) e delle contraddizioni che vi si annidano all’interno. L’inclusione dell’estraneo nel gruppo deve insomma passare attraverso un rito di sangue al termine del quale le cose non potranno certamente rimanere immutate. Grottesco, alienante e capace di far apparire assurdo anche il dettaglio più familiare, il film è capace di sconvolgere presupposti e aspettative in modo sorprendente, manifestando tratti di originalità che si vedono di rado nel genere. Quello che colpisce è lo sguardo eccessivo e a tratti incontrollato che i registi lanciano su un mondo solo apparentemente normale. Recuperando la lezione di altri grandi autori della contemporaneità (uno su tutti, Lanthimos), essi riescono a mostrarci con grande acume e spietatezza le assurdità sulle quali si fonda un ordine sociale quanto mai normativo e conservatore.




Da questo punto di vista, Finché morte non ci separi si presenta come un esempio virtuoso di come, pur senza forzare le dinamiche di un genere in modo radicale, si possano produrre opere di assoluto rilievo e capaci - speriamo - di porsi come punto di partenza per nuove e ancor più radicali operazioni di critica sociale. Sul modello di Ari Aster e del già citato Jordan Peele, insomma, anche questo film si colloca in quel filone di ripensamento dell’horror che lo sta portando a essere un genere qualitativamente di punta del nostro mercato audiovisivo.