Il film da vedere nel weekend King Arthur, leggenda e fiaba
Regia: Guy Ritchie.
Con: Charlie Hunnam, Jude Law, Katie McGrath, Annabelle Wallis, Eric Bana, Aidan Gillen, Djimon Hounsou, Astrid Berges-Frisbey, Hermione Corfield, Mikael Persbrandt, David Beckham, Georgina Campbell, Freddie Fox, Poppy Delevingne.
Dove vederlo a Bergamo e provincia: qui.
Quella di Re Artù e del meraviglioso reame di Camelot è una di quelle storie che, a partire dalla propria base letteraria (nei cicli cavallereschi del tardo Medioevo) continua a permeare il nostro immaginario, sino alla più stretta contemporaneità. In effetti il ciclico ritorno del personaggio di Artù (e della leggendaria spada Excalibur) sembra essere indicativo di un’esigenza – oggi molto percepibile nel cinema, ma facilmente generalizzabile – di racconti epici, in grado di veicolare valori netti e privi di coni d’ombra. Cos’era il disneyano La spada nella roccia se non una fiaba portata sul grande schermo, con personaggi stereotipici e moduli narrativi attinti a piene mani dall’immaginario epico? Il ritorno sugli schermi del personaggio di Artù con King Arthur – Il potere della spada, diretto da Guy Ritchie non stupisce più di tanto: gli spettatori sanno bene che si trattata di racconti eterni, destinati a ripresentarsi continuamente. Tutto sta nel verificare quale sia – in ciascun singolo caso – il valore del film.
King Arthur – Il potere della spada conta molto sul fatto che lo spettatore possieda già le coordinate di base per muoversi all’interno della narrazione: non ci viene infatti mostrata la leggenda di Excalibu; tutto è già avvenuto, relegato in un passato ancestrale per noi inaccessibile. Il film si apre infatti su uno scenario di guerra fantasy che pare preso di pari passo dalla trilogia de Il signore degli Anelli, con le sue battaglie campali e le sue creature fantastiche chiamate a lottare fianco a fianco con gli esseri umani (o contro di essi). Da qui King Arthur si fa poi più intimista, dedicandosi al racconto di un intrigo di corte e della rocambolesca fuga del figlio del Re, cresciuto senza conoscere le proprie origini nei bassifondi di Londinum. Una vita nell’ombra, la sua, continuamente braccato (senza averne cognizione) dal traditore del Re, che ne teme il ritorno: solo lui infatti può maneggiare Excalibur.
Non si può dire che il film di Guy Ritchie si limiti a mostrarci il già visto della storia di Artù e Camelot: anzi (e questo potrebbe per alcuni essere un demerito), King Arthur sembra non preoccuparsi per nulla di (ri)mostrarci quanto già sappiamo. In effetti il merito maggiore (ma al contempo il maggior pericolo) del film è la sua capacità di distanziarsi dalle narrazioni precedenti del ciclo arturiano, relegando nell’ombra o non mostrando neppure alcuni personaggi centrali delle vicende legate al fantastico re. Morgana, Merlino, Lancillotto sono tutti personaggi che non vediamo apparire (o che non vediamo protagonisti) in questo strano ma molto ben definito film, che si muove fra il fantasy e il thriller di ambientazione medievale.
In effetti la parte più caratteristica di King Arthur è – sorprendentemente – quella che riguarda la gioventù del nostro protagonista, il suo formarsi bivaccando per le strade della futura Londra e non certo le pompose (ma bellissime) sequenze di battaglia che aprono la pellicola. Un film, insomma, che dà suo meglio nelle sequenze meno trionfali e più dimesse. Non che le parti più schiettamente fantasy siano spiacevoli: l’impiego degli effetti speciali è anzi calibratissimo e assolutamente godibile ma, forse proprio per questo desiderio di staccarsi dal già visto, King Arthur concede il suo meglio nel ritratto umano del proprio protagonista (cosa che rende il film un parto assolutamente autoriale di Ritchie, del tutto in linea con la sua carriera cinematografica precedente. Nel complesso, insomma, un film particolare e volutamente diverso dalle aspettative, ma non per questo poco riuscito. Anzi: la capacità di osare oggi è merce rara!