Il film da vedere nel weekend "Lucy", il potere della mente
Lucy (Scarlett Johansson) è una normalissima ragazza taiwanese. Bella, come ogni protagonista che si rispetti, si trova costretta un po’ per caso a consegnare una valigetta, ignorandone completamente il contenuto. Mr.Jang, il boss coreano a cui l’anomalo pacco va recapitato, fa sequestrare la malcapitata studentessa e impianta nel suo corpo parte della strana sostanza che era contenuta nella valigetta. Nei suoi piani Lucy dovrebbe diventare il veicolo anonimo per trasportare questa strana materia, ma non tutto va secondo i piani e la protagonista si ritrova, ancora una volta suo malgrado, ad acquisire un grado di conoscenza e potenzialità mentali decisamente al di là delle possibilità convenzionali.
Una delle costanti del cinema di Luc Besson è quella di mettere al centro della sua indagine le donne, rappresentate sempre – per quanto mutino le condizioni contingenti – come protagoniste assolute di esperienze limite, che ne mettono alla prova ma contemporaneamente ne forgiano l’esistenza. Fra tutte la più nota è forse Nikita, dove Anne Parillaud si ritrova ad essere prima arresta e processata per rapina a mano armata e, dopo una morte simulata, a diventare una killer al soldo dei servizi segreti. Dotato di una forte componente action, ma a tratti di un romanticismo imprevisto, sempre raccontato attraverso una grande lucidità visiva. Il rischio di un cinema come quello inaugurato da Nikita, è quello di autoconfinarsi su stereotipi di genere che rischiano di rimpicciolirne o spesso appiattirne completamente la complessità. Anche Lucy, ovviamente, non è esclusa da questo rischio, che effettivamente molti critici riscontrano.
Lucy conta su una struttura meno lineare di Nikita, sebbene in alcuni punti sembri riprenderne in maniera implicita alcune suggestioni. Come spesso accade nel cinema contemporaneo il film è retto da una sceneggiatura franta, che si rincorre continuamente e si confonde in rivoli non sempre ben interconnessi, con un risultato finale piuttosto straniante e che richiede allo spettatore un certo sforzo ricompositivo. Uno sforzo dunque, a interpretare, andare in profondità, scavare oltre la superficie, che è ricordato in maniera chiara anche dallo stesso sviluppo del film. Lucy, omonima fra l’altro del primo esemplare di Australopiteco rinvenuto e, in qualche maniera, nostro comune antenato, acquisisce la straordinaria capacità di incrementare le proprie possibilità neuronali, sviluppando la facoltà di utilizzare una maggiore quantità del suo cervello in maniera attiva.
Su questi presupposti il film sviluppa una narrativa che, per quanto abbia la forma di un puzzle, si fonda su assunti ben definiti, come una salda opposizione bene/male che vede opposta Lucy a un antagonista di rara malvagità, impersonato da Cho Min Sik, giustamente celeberrimo per le sue interpretazioni in due grandi film di Park Chan-Wook (Oldboy e Lady Vendetta). Su questa etica convenzionale Besson innesta una fantasia immaginifica e spesso ipercinetica, fortemente contaminata dalla logica dei comics americani. Questo è effettivamente uno degli elementi più controversi del film e in generale della ricezione dell’opera di Besson, secondo molti eccessivamente squilibrata verso questi eccessi. Bisogna però riconoscere che, sebbene in alcuni punti forse il regista si conceda eccessivamente a questo genere di vizi, nel complesso il film si mostra valido come titolo di intrattenimento e propone spunti di riflessione interessanti, anche se forse ci si sarebbe potuti aspettare una maggiore ricercatezza a livello formale.