Trovati in Francia resti del I-II sec. d.C.

"Il Gladiatore" è soltanto un film Quelli veri finivano sbranati

"Il Gladiatore" è soltanto un film Quelli veri finivano sbranati
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A Saintes, nel Sud della Francia, gli archeologi hanno avviato una campagna di scavi in prossimità del luogo in cui sorgeva un anfiteatro di età romana, un fratello minore del Colosseo. La costruzione dell’edificio venne probabilmente intrapresa sotto il principato di Tiberio e fu portata a termine sotto il dominio di Claudio, il papà adottivo di Nerone, nonché l’unico imperatore morto per colpa di alcuni funghi velenosi. (Sul destino di Claudio post mortem si sarebbe sbizzarrito Seneca, con la sua famosa “Zucchificazione”; ma questa è già un’altra storia). L’anfiteatro gallico doveva avere una pianta ellittica e poteva contenere fino a due migliaia di spettatori. Nell’area circostante, sono stati riportati alla luce i resti di numerosi corpi, molti dei quali presentano un anello arrugginito chiuso attorno alle vertebre del collo. Si trattava di schiavi, molto probabilmente impiegati come gladiatori.

Le sepolture risalgono al I e il II secolo d.C., quando i giochi circensi nella Mediolanum Santonum, capitale della patria dei galli Santoni, dovevano essere frequenti, o almeno abbastanza frequenti per soddisfare il popolo locale. Presumibilmente, i resti ritrovati dagli archeologi appartenevano a dei gladiatori di “serie b”, impiegati per essere dilaniati dalle belve feroci. Erano schiavi o prigionieri di guerra, armati alla meno peggio e messi nell’arena a confrontarsi con le fiere. Ovviamente, non avevano nessuna possibilità di sopravvivere e la fine dello scontro era scontata. Il pubblico, però, apprezzava enormemente la vista del sangue durante gli spettacoli. Alcuni studiosi hanno ipotizzato che essi costituissero una forma di violenza ritualizzata: gli spettatori sperimentavano una sorta di catarsi emotiva delle proprie pulsioni peggiori e i poveri gladiatori fungevano da attori-capri espiatori di un’esigenza sociale largamente diffusa. Del resto, gli schiavi erano considerati come degli oggetti, delle proprietà dei loro padroni, al pari di ville, quadri e statue costose.

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I gladiatori di “serie a”, invece, erano quelli che si affidavano a un organizzatore degli spettacoli; una sorta di manager dei tempi antichi. Questi erano ben armati e di solito si scontravano con altri uomini. Raramente venivano lasciati morire, perché costavano molto: sarebbe risultato dispendioso rimpiazzarli. Questi gladiatori, insomma, costituivano una sorta di scuderia di cavali purosangue, tenuti in forze (ma non troppo) dai loro padroni.

Nessuna scena epica, né atto di eroismo ribelle, doveva essersi verificato nelle arene dell’Impero Romano. Dimentichiamoci, dunque, le scene alla Russel Crowe, se stiamo andando in cerca di una visione più fedele alla verità storica. Quello che uno spettatore romano doveva vedere (quello che Seneca aveva visto, e che descrisse, in un passo memorabile dei suoi scritti), era uno spargimento di sangue implacabile della durata di pochi minuti, oppure una lotta interrotta al momento giusto, non per la salvaguardia di vite umane, ma per il rispetto della borsa. Gli scheletri degli schiavi, con le loro catene, hanno confermato la testimonianza di fonti storiografiche e documentarie.

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