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Il film da vedere nel weekend Race, il colore della vittoria

Il film da vedere nel weekend Race, il colore della vittoria
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Regia: Stephen Hopkins.
Cast: Stephan James, Jason Sudeikis, Jeremy Irons, Carice van Houten, Eli Goree, Tony Curran, Shanice Banton, Amanda Crew, David Kross, Barnaby Metschurat, Jonathan Aris, Tim McInnerny, Nicholas Woodeson, Jesse Bostick, William Hurt.
Dove vederlo a Bergamo e provincia: qui.

 

La seconda guerra mondiale è uno degli eventi che ancora oggi scuote le nostre memorie: molto è stato scritto, molto si è visto, eppure rimane sempre qualcosa che è difficile razionalizzare. Ci si chiede, ad esempio, com’è stato possibile arrivare fino a tal punto, che cosa correva nelle menti degli elettori di Hitler o dei suoi intendenti. I conti non sono più chiari poi dalla parte degli Alleati e questo complica non poco le cose: a fronte del grande valore che ha avuto l’impresa di liberazione iniziata con lo sbarco in Normandia, non si deve dimenticare la catastrofe nucleare del 1945, con i bombardamenti su Hiroshima e Nagasaki. Non stupisce perciò che ancora si scavi nelle biografie e negli eventi, per illuminare aspetti oscuri o per leggere con una nuova consapevolezza la nostra contemporaneità. È quello che cerca di fare Stephen Hopkins, regista che si fa ricordare soprattutto per alcune produzioni di genere (Predator 2, Lost in Space, I segni del male), con il suo nuovo film. Una storia edificante, che attinge, senza nasconderlo, alla realtà, ma che finisce, come sempre in questi casi, per raccontarci qualcosa di sempre valido anche sul nostro modo di leggere le cose e i fenomeni.

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Così, Race. Il colore della vittoria si focalizza sulla vita di Jesse Owens, afroamericano studente universitario che per proseguire la propria formazione lascia dietro di sé una famiglia e si trasferisce in Ohio. Qui i suoi meriti sportivi gli valgono ben presto la convocazione nella nazionale olimpica americana. Non ci sarebbe niente di strano, se non fosse il 1936 e le Olimpiadi in questione non fossero quelle di Berlino. Dopo tre anni dall’ascesa di Hitler, il governo statunitense si trova in difficoltà, perché i segni di xenofobia e politica eugenetica del Nazismo cominciano a essere evidenti. In questo contesto, la presenza di Jesse assume dunque il sapore di un doppio riscatto e la motivazione dell’atleta ne esce molto rafforzata.

Il titolo del film ci porta già nel vivo delle questioni: Race indica la corsa e la razza, che sono i due elementi fondamentali dello svolgimento narrativo della pellicola. Quello che Hopkins fornisce, di fatto, è un ritratto a tinte forti che mette fortemente in evidenza il carattere eroico ed unico dell’impresa di Owens, in un contesto assurdo e difficile com’è quello dell’Europa hitleriana. Una scelta, questa, che può non essere completamente apprezzata, dal momento che da un film sostanzialmente biografico ci si potrebbe aspettare una maggiore focalizzazione sulla psicologia del personaggio e sui suoi drammi interiori. Il regista opta invece per una strada diversa, meno intimistica e più legata alla trattazione del contesto, dove a contare è la posizione particolare del protagonista nei confronti del resto del mondo.

 

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Per plasmare il suo progetto, Hopkins opta per una forma cinematografica classica, dalla forte valenza identitaria (è, dopotutto, il linguaggio tradizionale del cinema americano, che qui si piega per rendere omaggio a un eroe nero). Molte scene del film concorrono a creare questa sensazione, su tutte quella del trionfo di Owens nello stadio monocromatico e bianco di Berlino. Una biografia che funge allora da pretesto per tornare a ragionare di nuovo (ma si può mai smettere di farlo?) sull’epoca più buia del Novecento, con una rinnovata consapevolezza che apre spiragli di riflessione anche sul contemporaneo. Nel complesso un film piacevole, che proprio per questa sua capacità di portare in fondo un’idea forte e definita, non mancherà di appassionare il pubblico, anche al di là del racconto sportivo che fa da sfondo alla vicenda.

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