Il reporter Giorgio Fornoni

Il laico che si batte per un santo (che altri han ridotto a un santino)

Il laico che si batte per un santo (che altri han ridotto a un santino)
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Domenica sera, cinema oratorio di Ardesio. La sala è quasi piena anche se il programma non è di quelli leggeri. C’è la presentazione del docu-film realizzato da Giorgio Fornoni su vita e morte di don Alessandro Dordi, il prete bergamasco assassinato nel 1991 in Perù dai guerriglieri maoisti di Sendero Luminoso. Sei mesi fa don Dordi è stato proclamato beato insieme a due frati minori polacchi, uccisi in circostanze simili. Sono i primi tre martiri del Paese andino e per accompagnarli sugli altari il 5 dicembre scorso nello stadio di Chimbote c’erano trentamila persone.

 

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Qui da noi, invece, nella terra d’origine di don Alessandro, questo nuovo “santo” è passato un po’ in sordina. Al di là di un riconoscimento istituzionale e di qualche accenno nelle omelie, si è fatto davvero poco per ricordare questo eroe moderno della carità che ha letteralmente portato in cielo il nome di Bergamo. Ci si sarebbe potuto aspettare, ad esempio, che nel momento della proclamazione suonassero a festa le campane di tutte le parrocchie o che fuori dalle chiese venissero esposti grandi ritratti di don Dordi. O, ancora, che i Comuni gli dedicassero una via o una piazza. Niente di tutto questo. Ce la si è cavata, secondo tradizione, con alcune pagine de L’Eco di Bergamo sfogliate in fretta. Tornato dalla beatificazione in Perù, il vescovo Beschi ha presieduto una messa di ringraziamento davanti a 300 sacerdoti. Un bel gesto indubbiamente, ma che non ha coinvolto più di tanto la gente comune, quasi che la testimonianza di don Dordi fosse un fatto interno alla chiesa anziché una sacrificio per il mondo intero.

 

 

Ad Ardesio, però, c’è un uomo ostinato che non accetta di riporre in fretta il nuovo martire, in formato santino, nel primo cassetto della scrivania. Una sorta di postulatore civile della causa di don Dordi, e paradossalmente è un laico, «un dubitante», come lui stesso si definisce. Di sicuro non è un cattolico praticante. È Giorgio Fornoni, l’autore del video presentato, noto fra i reporter di guerra perché ha girato il mondo con l’intento di documentare la sofferenza e le ingiustizie nei quattro angoli del pianeta. Milena Gabanelli, con la quale collabora da anni, lo definisce un cine-giornalista. Fornoni e don Dordi, pur essendo nati a pochi chilometri di distanza – uno è di Ardesio, l’altro era di Gromo San Marino -, non si sono mai visti. La prima volta che le loro storie si sono intrecciate è stata in Perù nelle ore successive all’assassinio del missionario. Ma da allora Fornoni si è dato da fare per raccogliere testimonianze e immagini e ora si è messo in testa di raccontare a tutti, in particolare ai bergamaschi, quanto fosse eroico quel prete di montagna andato a offrire la sua vita dall’altra parte del mondo.

 

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Fornoni, partiamo dall’inizio. Come e quando ha "incontrato" don Dordi?

«Verso la fine di luglio del ’91. Mi trovavo al confine fra Colombia e Venezuela, nella zona controllata dai guerriglieri delle Farc, per fare un reportage sulla coca. Prima di rientrare, approfittando del fatto di essere in quell’area, decisi di fare un salto in Perù per salutare padre Giovanni Bigoni, che era stato mio compagno di scuola. Ero appena giunto a Lima quando arrivò la terribile notizia: «Hanno ucciso padre Sandro». Dalla capitale a Santa, nella diocesi di Chimbote, dove era avvenuto il fatto di sangue, c’erano 400 chilometri. Mi precipitai e ricordo come fosse adesso la veglia di quella notte».

Che cosa vide a Santa?

«Che la paura aveva agghiacciato tutti, nessuno riusciva più a dire niente. Mi colpì la moltitudine di persone che piangevano in silenzio e portavano fiori alla bara. Era evidente che la gente amava quel missionario. Tirai fuori l’attrezzatura, filmai e fotografai».

Cinque anni dopo tornò laggiù.

«Ero convinto che la figura di don Alessandro meritasse di essere raccontata. E mi colpì il fatto che già allora tutti lo dichiarassero beato».

 

 

Cosa che ufficialmente è avvenuta vent’anni dopo.

«Il 3 febbraio dell’anno scorso Papa Francesco diede l’annuncio: «Quest’anno avremo quattro nuovi beati». Uno era monsignor Romero, gli altri i due frati polacchi e l'ultimo padre Dordi. A dicembre per la beatificazione sono tornato laggiù. A parte i parenti, non erano presenti molti bergamaschi e la cosa mi dispiacque. Adesso però la nipote di don Sandro mi ha informato che sempre più persone salgono al cimitero di Gromo San Marino, dove è sepolto, a pregare sulla sua tomba. In Perù è tutto pronto per accogliere le sue spoglie, ma che don Dordi cominci a essere riconosciuto anche da noi è una cosa davvero importante. Presto gli verrà dedicato un monumento sul sagrato della Chiesa di Gromo San Marino».

Perché le interessa così tanto questo prete?

«Denunciando le ingiustizie e le sofferenze ho capito che ciò di cui abbiamo più bisogno per vivere sono dei testimoni autentici del bene. Ho seguito Dominique Lapierre in India, Alberto Cairo a Kabul e tanti altri personaggi straordinari. Come giornalista sono stato fortunato. Anche con don Dordi è successo così: mi sono trovato laggiù proprio in quei momenti drammatici. Non accade tutti i giorni di incontrare qualcuno disposto a dare la vita per gli altri. Anche molti miei amici giornalisti sono morti, da Maria Grazia Cutuli al Raffaele Ciriello, da Andrej Mironov e Andy Rocchelli e tanti altri. Avrei potuto fare anch’io la stessa fine, ma loro dando la vita diventano straordinari. Questo mi colpisce e voglio raccontare».

 

GIORGIO FORNONI di ARDESIO A GROZNY

 

Da dove viene questa sua attenzione per la miseria e la grandezza degli uomini?

«Da giovane avrei voluto fare l’archeologo. Un giorno però ho voluto mettere un piede nella nostra storia e, viaggiando, più di ogni altra cosa mi ha colpito la sofferenza umana. Ho sentito forte il desiderio di narrare queste tragedie. Dal Vietnam alle prigioni dei condannati a morte negli Usa, ho potuto documentare un dolore inenarrabile. Non avendo io la forza di missionari e medici che danno la vita per cercare di combattere il male, ho deciso di raccontarlo. Non c’è nessun merito in questo. D’accordo, faccio inchieste e denunce, ma io non mi fermo a curare le ferite, sono come il vento: passo e porto via».

Come è stato accolto in bergamasca il suo filmato su don Dordi?

«Abbastanza bene, per quei pochi parroci che l’hanno voluto mostrare. Però se altri mi chiamano vado volentieri, perché è giusto così. La mia speranza è che don Alessandro venga riconosciuto a Bergamo con la stessa intensità con cui è ricordato in Perù».

Che cosa sta preparando di nuovo?

«Dopo aver documentato tante guerre,  miserie, rischi e disastri ambientali vorrei capire che cosa c’è “più in là”. Ho avviato un progetto che si chiama “le vie del cielo”. Vorrei capire perché l’uomo sale in cima alle montagne, attraversa i deserti e perché da un apparente nulla sorgono tante cose. Ho incontrato il Dalai Lama, il braccio destro di Khomeini, diversi islamici, i benedettini di Fontgombault, i monaci di Tibhirine, l’Abbè Pierre e i francescani, il capo del Monte Athos e un eremita ortodosso che ha vissuto 18 anni in una buca coperto da un cartone catramato: mentre parla della sua gioia quando pensa a Dio gli si illumina il volto. Nella seconda metà di giugno ho in programma di incontrare a Parigi un esponente del sufismo. E chiuderò il video con George Coyne, gesuita, ex direttore della specola vaticana che mentre mostro le immagini dell’osservatorio astronomico più importante al mondo, in Cile, dice che siamo talmente piccoli nell’universo che non è il caso di pensarsi come dei padreterni».

Lei dice di essere un uomo senza il dono della fede ma suo figlio è entrato in seminario e presto potrebbe diventare sacerdote. Un gol in contropiede del destino.

«Io non ho fede ma ho speranza e sono davvero contento di questa decisione di mio figlio, anzitutto perché è stata una scelta sua. Avrebbe potuto vivere una vita agiata, tranquilla, e invece ha preferito mettersi in gioco».

 

001 Giorgio Fornoni

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