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Inside Out è un film per adulti E ciascuno di voi si commuoverà

Inside Out è un film per adulti E ciascuno di voi si commuoverà
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L’ultima produzione della Pixar si chiama Inside Out ed è nelle sale in Italia dal 16 Settembre. È di Pete Docter, che ha già scritto e diretto Monsters & Co. e vinto un premio Oscar per Up. Inside Out sta al cinema come il Piccolo Principe sta alla letteratura: sembra fatto per i piccoli, ma parla soprattutto ai grandi. La trama di per sé è facile facile e non ci sono supereroi ed altre diavolerie a complicarla: Riley è una ragazzina di undici anni che si è appena trasferita coi genitori dal Minnesota a San Francisco. «Là dove c’era l’erba, ora c’è una città» in cui la pizza è bio e ci mettono solo broccoletti. O, meglio ancora, «mi ricordo montagne verdi» e le pattinate di una bambina che andava in gita al lago con mamma e papà. Il massimo dell’avventura è scoprire che il camion dei traslochi tarderà ad arrivare; mentre la vera storia si svolge dentro la testa di Riley.

Lì le emozioni – Gioia, Tristezza, Disgusto, Rabbia e Paura – sono veri e propri personaggi di umane sembianze che, stando dietro un centro di comando à la Star Trek, controllano azioni e reazioni: la repulsione per i broccoletti, la nostalgia di casa, la difficoltà di adattarsi, la rassicurazione del bacio della buonanotte e le prime insurrezioni.

Del cuore nessuna traccia: la Pixar finalmente fa in modo che venga scalzato dal primato in cui la Disney l’aveva tenuto per decenni, mostrandoci dove e come si costruisce davvero la nostra personalità. Gli studi sui meccanismi neurofisiologici e le teorie psicologiche si traducono, allora, in un giro spassoso per le circonvoluzioni cerebrali in cui i congegni della nostra (sub)coscienza prendono forma e voce. C’è la memoria a lungo termine, che è un labirinto di scaffali in cui sono stipate le sfere dei ricordi. L’amico immaginario, il rosa elefante, che – ahinoi – bisognerà dimenticare. C’è il treno dei pensieri che va in giro tutto il giorno e si ferma di notte, quando resta in funzione solo la CineProduzione, un teatro di posa in cui attori mediocri e star di Hollywood mettono in scena i nostri sogni. In tutto ciò, può capitare che parta in loop quella canzoncina della pubblicità, sempre la stessa.

È un cartone per grandi, dicevamo, non solo perché certi espedienti li afferra solo chi ha il doppio degli anni di Riley: il pensiero astratto, per esempio, è una cabina che scompone chi ci entra in ritratti di Picasso prima, poi in linee di Mirò. Genialata. Ma anche perché c’insegna quant’è malleabile, plastico, il cervello di un bambino e quanto c’entrano le primissime esperienze – le sfere dei “ricordi base” – col carattere. Che strabiliante potere ha, allora, la mano di un adulto nell’età in cui alcuni tratti si codificano per sempre. E quant’è facile che pezzi di noi vadano perduti per fare spazio ad altri. E quant’è difficile bilanciare il posto che Gioia e Tristezza devono occupare: lasciare che Tristezza venga fuori dal cerchietto di gesso in cui abbiamo confinato le sue goffaggini, perché ci è necessaria. Perché è quella tendenza alla malinconia a renderci compassionevoli e a richiamare la compassione degli altri. Guardare Inside Out sarà, appunto, come guardarvi da dentro. E vi farà piangere. È quindi consigliata la visione in presenza di un bambino.

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