Open House, la bella idea di Torino per regalare a tutti l'architettura

Da Crocetta a San Donato, da Parella a Mirafiori passando per Lingotto e San Salvario: a Torino erano 111 gli edifici aperti al pubblico sabato 10 e domenica 11 giugno per la prima edizione di Open House. Un format nuovo per la città sabauda ma già ampiamente collaudato in molte capitali europee.
A lanciare l’iniziativa è stata nel 1992 Londra, seguendo l’intuizione di Victoria Thornton. Dieci anni dopo è arrivata New York, nel 2005 Dublino, poi Tel Aviv, Gerusalemme, Helsinki, Oslo, Melbourne. Nel 2010 è stata la volta di Barcellona, Brisbane, la Slovenia e Chicago. L’Italia è entrata in famiglia solo nel 2011 con l’edizione romana, seguita nel 2016 da Milano, mentre la comunità di Open House arrivava a contare 32 membri. Quest’anno, finalmente, è arrivata anche Torino.
Open House nasce per rendere l’architettura fruibile a tutti, aprendo per un weekend edifici privati o non accessibili al pubblico e organizzando visite gestite da progettisti o proprietari. Quattro sono i concetti sui quali il progetto si fonda: esperienza, dialogo, empowerment e advocacy. Secondo la direttrice dell’iniziativa globale Victoria Thornton, «sperimentare l’architettura sulla propria pelle aiuta ad ampliare le proprie conoscenze, entrare in dialogo e a crearsi delle opinioni informate sui quartieri dove viviamo e lavoriamo». Nell’era dell’urbanizzazione e della gentrificazione, dove si fanno pressanti le questioni del design sostenibile, Open House offre un modo inclusivo di sperimentare il potere dell’architettura nello spazio pubblico.




A Torino, ex capitale e vecchio polo produttivo della Fiat, l’architettura e l’urbanistica si sono adattate ai flussi migratori giocando un ruolo importante nella formazione dell’identità cittadina. Così abitazioni contemporanee si sono inserite accanto a villini liberty, palazzi barocchi sono diventati appartamenti di design, edifici storici ospitano ora loft con arredamenti d’interni avveniristici. Nella lista dell’Open House torinese c’erano infatti palazzi storici, uffici, fabbriche, fondazioni, parchi, chiese, una palestra di arrampicata, il motovelodromo, un ex birrificio e le ex sellerie del Sermig. Tra le abitazioni aperte anche la famosa Casa Hollywood in zona Porta Palazzo e il 25 Verde in San Salvario, palazzi che ospitano serre bioclimatiche e giardini pensili. Molti anche gli esempi di co-housing e di alloggi temporanei: tra queste i Luoghi Comuni di Porta Palazzo, residenze temporanee che mirano a costruire comunità oltre ad offrire assistenza abitativa. Per chi Torino voleva vederla dall’alto si potevano poi visitare Palazzo Lancia, Torre Monaco, Torri Pitagora e il Palazzo dei Lavori Pubblici.
La mappa degli edifici aperti al pubblico. Clicca sull'immagine per ingrandire.
Tantissimi gli appartamenti di design messi a disposizione dai proprietari, tanto che la percentuale di abitazioni private rispetto al totale è risultata, nell’edizione torinese, molto superiore alla media degli altri Open House. Un’apertura che ha meravigliato anche gli organizzatori, un gruppo di architetti e amanti della città. E se a un mese dalla manifestazione gli edifici aderenti erano 80, la settimana dell’evento la cifra è arrivata a 111 e sarebbe aumentata ancora se i coordinatori avessero avuto maggiori risorse umane e organizzative.
La prima edizione dell’Open House torinese è stata così un evento unico, due giorni di visite completamente gratuite basate sull’impegno di 300 volontari, progettisti e proprietari degli immobili. Due giorni di celebrazione dell’architettura come patrimonio pubblico che hanno fatto segnare il record di oltre 15mila presenze. A dimostrazione che anche Torino sa essere una città aperta.