L'intervista

«La panchina è stata una svolta ma a 50 anni bisogna cambiare»

«La panchina è stata una svolta ma a 50 anni bisogna cambiare»
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Ha una cortesia che ricorda quella candida, meravigliosa, del suo personaggio sulla panchina, Franz, cioè Francesco Villa. Anche quando fa il serio. Se ci si sente un po’ presi in giro è solo grazie alla forza di uno sketch che ha travalicato i confini del cabaret. Al telefono ci racconta lo spettacolo che stasera, venerdì 16 marzo, porterà con Ale al Creberg Teatro. Una fotografia, ma non quella della «Milano da bere», tutt’altro: l’istantanea, come si diceva un tempo, disincantata, di una realtà artistica nella cui ombra hanno mosso i primi passi due comici oggi affermati. E il loro Nel nostro piccolo. Gaber, Jannacci, Milano, da molti definito «lo spettacolo della maturità», è un grazie teatrale di cuore ai due maestri di vita che hanno rappresentato un punto di riferimento costante nel corso della loro crescita. Gaber e Jannacci, due ritrattisti di una realtà che è certo andata modificandosi col tempo e nel tempo ma che ha mantenuto la peculiarità caratteriale del milanese puro. Se di teatro-canzone si tratta, inevitabile che lo show veda la partecipazione di musicisti: Luigi Schiavone, Fabrizio Palermo, Francesco Luppi e Marco Orsi, praticamente la colonna sonora del lavoro.

«Ce ne siamo accorti a posteriori, di quanto siamo stati influenzati dal signor Gaber e dal signor Jannacci», ci ha detto Ale in sede di presentazione della stagione del Creberg. Conferma?

«Questo spettacolo nasce un po’ con le loro canzoni, che abbiamo sempre avuto dentro di noi. Le riproponiamo, quelle canzoni, riscrivendo i prologhi e gli epiloghi. Comunque è vero, ci siamo resi conto che nel nostro lavoro c'era molto del loro modo di ragionare, di vedere la realtà. Molte delle cose che abbiamo scritto erano condizionate involontariamente da Gaber e Jannacci. Allora, proprio partendo da questo patrimonio, ci siamo lanciati in questo che non è un classico tributo, ma quasi un lavoro a otto mani».

 

 

Una riflessione anche sugli albori di un percorso, il vostro, costellato di successi.

«A cinquant'anni qualche bilancio lo si inizia a fare, ci si guarda un po’ intorno. Anche il desiderio di scrivere qualcosa di diverso rispetto a quanto avevamo fatto è un passettino in avanti, sebbene ci sia tutta la nostra comicità. Per la prima volta ci confrontiamo con la musica, che non abbiamo mai messo negli altri spettacoli. Ci presentiamo in una nuova veste al pubblico e ne avevamo bisogno».

C’è uno spettacolo o uno sketch a cui siete particolarmente legati?

«La risposta è semplice: la panchina. Perché, insieme ai gangster, ha rappresentato il punto di svolta nella nostra carriera».

 

Per leggere l’articolo completo rimandiamo a pagina 49 di Bergamopost cartaceo, in edicola fino a giovedì 22 marzo. In versione digitale, qui.

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