Da Levate a Capo Nord e ritorno Viaggio nelle terre dei giganti
«Caro diario». Ricordo che alle elementari le pagine di diario te le facevano iniziare così, e dovevi pure mettere la data, altrimenti erano voti in meno. Rileggendolo mi accorgo che il nostro è tutt’altro che «caro» e soprattutto non ha date, perché mentre siamo occupati per le strade di mezza Europa perdiamo del tutto la cognizione del tempo. «Nostro», questo sì, perché non sono solo, ma mal accompagnato da due ceffi di nome Davide e Marco Nozza. Bando ai complimenti, Marco e Davide sono i coautori di un itinerario pensato a tavolino (oddio, non troppo) che si snoda lungo una dozzina di Paesi incrociando via terra o via mare altrettante frontiere. Senza di loro, retorico dirlo, questo viaggio non sarebbe lo stesso.
Partenza da Levate in anticipo di dieci minuti sul canovaccio, venerdì 3 agosto, a bordo di un van a noleggio scelto con cura maniacale: la vacanza che ci aspetta sarà anche spartana, ma noi siamo attenti al design della mobilia manco fossimo arredatori d’interni. Neanche ci sogniamo le condizioni in cui lo lasceremo. Fa niente se facciamo fatica a tenerlo in strada, tipo quella volta in cui con una retro alla cieca fermiamo a meno di cinque centimetri da un albero e per Davide c’è margine per andare più indietro; in effetti cinque centimetri o poco meno non è ancora addosso. Arranchiamo perché le due spese del «Lombardini» si fanno sentire, ma cammin facendo i nostri vermi solitari ci permettono di smaltire la zavorra. Su per il Brennero e quindi l’Austria alla massima velocità consentita, che evidentemente per Marco è quella della luce, per i locali 110 km/h. Maciniamo chilometri di asfalto tedesco e iniziamo a sfoggiare il nostro inglese maccheronico alla prima vera tappa, l’anseatica Amburgo, con i suoi mattoncini rossi e le torri e le chiese gotiche. Salutiamo la Sassonia e l’Allemagna tutta, le foreste interminabili, i tetti a forma di cuspide e i sandali coi calzini tirati su fin sopra gli stinchi. Alla prima doccia a bordo faccio la fine della monetina nel jukebox. Quando si dice gli amici. Rinunciamo a De André che per Davide è Andrea Dipré e puntiamo tutto su Bob Dylan; così arriviamo a Copenaghen, con gli hamburger che sfrigolano nell’olio bollente. Davide scatta una foto a una statua di Giasone, poi guardo meglio e la foto l’ha fatta al pisello della statua, che come tutte le statue che si rispettino ce l’ha piccolo così. Sarà stato colto da un improvviso complesso di superiorità, penso. Bravo Davide, ti piace vincere facile. Passiamo anche da Christiania, ex villaggio hippy che l’immaginario collettivo vede come novello Paese dei balocchi e un po’ ci azzecca pure. Poi il Kronborg Slot, imponente maniero cinquecentesco affacciato sullo stretto di Øresund, teatro dell’Amleto di Shakespeare.
In Svezia siamo per la prima volta in un campeggio; facciamo i conti con un adattatore di corrente che non c’è e scusate se è poco. L’elettricista del gruppo, Marco, millantava di possederne uno universale ma noi non abbiamo ancora avuto il piacere di conoscerlo. Tocca a un inglese lì per caso vestire i panni del buon samaritano e regalarcene uno. Ah, Marco ha dimenticato pure il pin della prepagata che serve da cassa comune. Dettagli. In compenso ha portato curcuma e semi di papavero, quindi lo perdoniamo. Per la cronaca, raggiungiamo gli ameni villaggi della costa svedese sud-occidentale, il Bohuslän, e nei triangoli di pericolo cominciano a comparire le alci. Fjällbacka è il più spettacolare fra questi, un gioiello incastonato nella roccia; il tempo è clemente e ci facciamo pure il bagno. Frattanto la stanchezza torna a bussare sulle nostre spalle; a segnalarcelo, oltre alle palpebre calanti, è il rumoroso scrub agli pneumatici ogni qual volta saliamo sulle strisce zigrinate della segnaletica che delimitano la carreggiata.
A Oslo passeggiamo fra orde di palazzi neoclassici, rinascimentali e rococò, lungo il boulevard che conduce dal Duomo al Palazzo Reale. Diciotto euro di insalata che assaporiamo lentamente, quasi a cullare l’illusione che non finirà subito; invece finisce anche prima del previsto e, mentre fagocito perfino i gambi della maggiorana, gli altri due fanno la scarpetta col limone. Abbiamo il tempo per una capatina alla National Gallery e non ci lasciamo sfuggire l’occasione di conoscere dal vivo Munch e il suo Urlo. Ettari di foresta vergine ci sfilano di nuovo davanti agli occhi, il ritmo incessante del verde è spezzato dal grigio della roccia nuda e dal blu dei laghetti che punteggiano il cono meridionale della Norvegia. Qui l’uomo non dà grossi problemi e radi sono i suoi insediamenti. Finalmente ai piedi del Preikestolen, una specie di rupe di Mufasa che affaccia sul Lysefjord. Per la serie «un giorno tutto questo sarà tuo». Solo che ad aspettarci in cima non c’è Rafiki che battezza Simba, ma una caterva di narcisi dal rullino...