Moro, l'impresa (quasi) impossibile e altri posti dove si muore di freddo

Simone Moro, il grande alpinista bergamasco, non si lascia spaventare né dalle scalate in alta quota, né tantomeno dalle basse temperature. Insieme alla sua compagna di cordata Tamara Lunger sarà infatti protagonista di un’avventura mai intrapresa fino ad ora: la scalata del Pik Pobeda, una montagna alta ben 3.003 metri sul livello del mare e una vicinanza di soli pochi chilometri dal Circolo Polare Artico. È un traguardo che sembra impossibile da raggiungere, una «mission nearly impossible», come l’ha definita lui stesso scherzando. Il vero problema, però, non sono i 3.003 metri di roccia da scalare, ma le temperature estreme della Siberia orientale, dove è situata la montagna e dove sono state registrate temperature anche di meno 71 gradi. Cosa spinge l’alpinista ad affrontare una simile impresa? Probabilmente il desiderio di sfidare la natura e superare i propri limiti. È su quel «quasi impossibile» che ha sempre costruito i suoi successi.




In Siberia senza dubbio vengono raggiunte temperature inimmaginabili, ma non è l’unico territorio al mondo ad essere tanto freddo. Spostandoci in altre latitudini troviamo luoghi che, nonostante le temperature gelide, sono abitati. Ad Astana, capitale del Kazakistan, la minima temperatura registrata è stata di meno 51,6 gradi. Per metà anno le strade sono ricoperte di ghiaccio e neve e, ad aggravare la situazione, ci sono le forti correnti, che contribuiscono a rendere il freddo ancor meno sopportabile.
Ad Ulaan Baatar, capitale della Mongolia, il terreno, invece, è completamente ghiacciato per tutto l’anno. Si tratta della capitale mondiale più fredda, con una temperatura media annuale di meno 1,3 gradi. Passando a città più piccole, non si può non nominare Fort Selkirk, un paese appartenente alla regione dello Yukon, in Canada. La minor temperatura registrata qui è stata di meno 58,9 gradi. Le condizioni climatiche rendono la vita degli abitanti insostenibile: nel 1950 erano stati costretti ad abbandonare la zona, lasciandola totalmente disabitata. Fort Selkirk, negli anni, è poi tornato alla vita ma è raggiungibile soltanto in aereo oppure in barca. Lì la temperatura minima pare sia stata di meno 65 gradi, così sostengono gli abitanti, ma non è stata ufficializzata perché il termometro era appeso sul muro esterno di un edificio e non in una delle solite capanne che vengono prese come riferimento.
Foto di Oymyakon © Amos Chapple








Infine non possiamo dimenticare di inserire nella lista Oymyakon, il villaggio che ha destato la curiosità anche di Simone Moro. È situato, come il Pik Pobeda, nella Siberia orientale e i suoi abitanti, circa ottocento, sono abituati a convivere con una temperatura di meno 71 gradi. Amos Chapple, un fotografo neozelandese, ha intrapreso un viaggio in questa terra e ha portato testimonianze della vita che conducono gli abitanti. La strada che porta dentro e fuori dal villaggio è una sola, viene chiamata "La strada delle ossa" ed è stata costruita dai detenuti rinchiusi nei campi di concentramento sovietici. È proprio il governo sovietico che, con molte pressioni, ha costretto le popolazioni nomadi a diventare sedentarie. Oggi il villaggio è abitato, ma un tempo gli unici visitatori erano i cacciatori di renne durante l'estate. Avviare il motore dell'auto senza il timore che il gasolio sia congelato, usare il cellulare, avere un sistema fognario tradizionale e andare a lavorare ogni giorno sono attività e cose che a noi sembrano scontate, mentre per gli abitanti di Oymyakon non lo sono. Per qualsiasi gesto quotidiano, anche il più banale, il freddo li costringe a trovare soluzioni alternative: lavorano ogni due settimane per non avere problemi di salute, costruiscono i bagni all'esterno per evitare che l'acqua nelle tubature si congeli e tengono le auto accese per scaldare il motore.