Il mondo rom in tutto il suo fascino nel documentario di uno stezzanese
Lo stezzanese Paolo Bonfanti è autore e regista di Opre Roma, un film documentario che è un viaggio tra i rom in Italia, alla scoperta delle origini, della storia, dell’arte, della musica e della cultura di un popolo affascinante e sconosciuto, attraverso le testimonianze di chi ne fa parte. Si parla della cultura rom in generale ma anche di ciò che significa essere rom nella quotidianità della vita, con l’intento di far conoscere questa realtà non riducendola esclusivamente, come di solito accade, a problematica sociale e ad avvenimenti negativi. Il film si articola in due parti: una di natura prettamente storico-culturale che aiuta a comprendere le origini, la storia e la cultura; l'altra di tipo biografico, incentrata sulle testimonianze di vita di alcune persone rom, con cui si presentano sia storie di normalità, sia storie eccezionali. Nelle ultime settimane il regista ha girato l’Italia per presentare la sua opera ed è anche apparso in una tv locale.
Paolo ha 45 anni, abita a Cenate Sopra anche se originario di Stezzano: «Nel corso degli anni ho sempre lavorato in ambito creativo, spaziando a 360 gradi. Ho cominciato come illustratore, poi grafico, designer, fino a quando ho preso in mano la cinepresa». Una famiglia normale: «Mia madre casalinga, mio padre dipendente del Comune di Bergamo. Però col senno di poi mi rendo conto di avere preso un po' di spirito creativo da lui, che dal 1998 non c'è più. Non l'ha mai manifestato come l'ho fatto io, anche per differenze generazionali, ma si differenziava. Aveva una forte curiosità verso i personaggi strani. Non era un artista ma aveva molti amici artisti. E io sono di natura curioso come lui, mi piace imbattermi in ciò che non conosco, come ho fatto per questo film».
Chi sono i rom: «Vengono chiamati zingari in modo dispregiativo. Loro ci chiamano invece gagè, in modo parimenti dispregiativo. Non è vero che sono nomadi per scelta. Furono costretti ad abbandonare le loro terre mille anni fa, a causa di un conquistatore persiano che invase il nord dell'India. Possono essere anche rumeni, ma non di origine. Hanno compiuto un grande esodo attraverso l'impero persiano e quello bizantino, per approdare in Europa e poi in tutte le parti del mondo. Sono una comunità di circa 16 milioni di persone presenti in tutti i continenti. Altri 4 milioni sono rimasti in India col nome di Dom. In Italia sono solo 180mila ma si fa molto clamore».
Come ha fatto a conoscere questa realtà: «Nel 2004 ho incontrato mia moglie, che lavorava in un Cag a Celadina. Lì in via Rovelli c'era un campo rom di profughi del Kosovo, scappati dalla guerra dei Balcani. Mia moglie mi parlava molto spesso di questi ragazzi, in termini positivi, nonostante le difficoltà di relazione. Ne ho conosciuti alcuni anch'io e la curiosità è diventata troppo grande. Quando ho preso in mano la cinepresa mi sono accorto che il soggetto era già pronto».
Sui pregiudizi nei confronti di queste popolazioni: «Chiaramente certe comunità che vivono in situazioni al limite devono tentare degli espedienti. Ma i rom che delinquono sono una minima parte rispetto ai 180 mila che vivono in Italia». Sulla leggenda del furto di bambini: «Non esiste un caso passato in giudicato dalla magistratura».
Sul significato del titolo: «Non ha una traduzione letterale. È un'esortazione del tipo: su la testa rom! Un richiamo alla dignità». Nel film non si vedono né roulotte, né campi rom, o gonne lunghe e orecchini grandi: «Ho fatto queste scelte per sfatare l'immaginario comune. Faccio parlare le nuove generazioni, quelle che sono riuscite a realizzarsi e a raggiungere l'eccellenza. Tutti però hanno vissuto le difficoltà e l'emarginazione».
Come si sono posti nei confronti del regista: «Se fossi andato da loro da sconosciuto in un campo mi avrebbero guardato male, com'è normale. Ma queste sono persone colte e non hanno pregiudizi. Ne ho intervistati moltissimi. Ho impiegato due anni: prima di girare ho dovuto studiare e frequentare le persone».
Sulle preoccupazioni rispetto all'intolleranza: «Sono molto preoccupati, perché vengono sempre visti come zingari. Io stesso ho saggiato questa cosa e sono stato attaccato da molti, che non avevano nemmeno visto il film».
Si tratta di un'operazione totalmente a costo zero: «L'ho pagato io col mio tempo. È stato fatto con pochissimi mezzi e tantissima passione. Ho fatto partire una campagna di crowdfunding con obiettivo 10mila euro; ne ho raccolti 2500. Avrei dovuto rinunciare ma non potevo. Sono partito con la mia cinepresa e il mio zainetto».
Sono state fatte diverse proiezioni in giro per l'Italia: Cagliari, Torino, Milano, Genova, Siena. Una anche a Malmö in Svezia. È autoprodotto e autodistribuito, grazie al passaparola. A Milano è stato proiettato durante la Giornata della Memoria, dato che l'olocausto dei rom viene tendenzialmente dimenticato.