Andate a vedere il Mudec di Milano È la meraviglia delle meraviglie
Tra le tante meraviglie che Milano si è regalata avvicinandosi ad Expo, questa è forse la più meraviglia di tutte. L’hanno ribattezzata con l’acronimo di Mudec, che sta per Museo delle Culture. Ed è uno di quei musei che, come il Guggenheim di Bilbao, è destinato ad essere conosciuto più per il contenitore che per il contenuto.
Sorge in un luogo molto appartato e chiede di essere scoperto, anche se siamo nel cuore di uno dei nuovi distretti del design e della moda, quello di via Tortona. Per scoprirlo bisogna varcare il portone al numero 56: un vecchio portone milanese che un tempo introduceva agli immensi spazi dell’Ansaldo. Ora, invece dell’atteso cortile, ci si trova improvvisamente davanti ad un grande edificio che si presenta a noi con delle larghissime porte di vetro e uno spazio d’ingresso molto newyorkese. Oggi questo spazio è destinato alle biglietterie al bistrot e a un bookshop. Non c’è bisogno di biglietto per salire la scala in pietra nera che conduce al luogo più magico che si possa immaginare: una enorme hall, ideata come luogo di incontro fra le culture e la comunità: è lo spazio fluido e luminoso dell’Agorà, il corpo a forma di fiore, realizzato con una struttura in acciaio e tutto rivestito da un vetro opalino. È una sorta di gigantesca scatola magica, altissima; una piazza coperta avvolta da queste forme imprendibili. È uno spazio che ipnotizza e che rende quasi banale tutto ciò che lo attornia. Eppure attorno ci sono le due impegnative mostre che il gestore del Mudec ha organizzato (quella dedicata a Barbie e a tutte le sue evoluzioni, e quella su Gauguin, artista che andò incontro alle altre culture; ma per vistarle ci vuole ovviamente il biglietto). Salendo si raggiunge poi Mudec Club, l’attico ristorante con vista sul complesso industriale.
Insomma un vero gioiello dell’architettura di questi decenni, che purtroppo ha avuto un percorso molto accidentato. Infatti la prima idea del Museo delle culture, che avrebbe dovuto accogliere le raccolte di arte etnica del Comune di Milano, risale a 20 anni fa. Nel 2000 la gara internazionale venne vinta da un celebre architetto inglese, David Chipperfield. Da allora il cantiere è andato avanti con una lentezza tutta italiana. Sino a che, con l’avvicinarsi di Expo, il Comune di Milano ha finalmente impresso una marcia nuova a tutti i cantieri. Il Mudec così è stato inaugurato puntualmente a marzo del 2015. Tuttavia se si va sul sito del museo curiosamente non si trova da nessuna parte il nome dell’architetto inglese. Infatti nella corsa contro il tempo e nella corsa a risparmiare, il Comune aveva scelto di modificare il capitolato per quel che riguardava i pavimenti, tra cui anche quello della magnifica piazza coperta: al posto del basaltino di Viterbo, scelto da Chipperfield, è stata utilizzata una pietra lavica conservata male prima della sua applicazione e posata senza tener conto delle venature del materiale, con macchie e scheggiature. Il tutto su ben 5mila metri quadri. L’architetto è inorridito alla vista e ha tolto la firma dal progetto, così il Mudec oggi è una meraviglia orfana...
Il Comune però ha promesso che la questione sarebbe stata affrontata dopo Expo e quindi è probabile che a primavera il cantiere si riapra per sistemare l’errore. Sino ad allora val comunque la pena andare a vedere. Intanto il pavimento non lo noterete neanche perché al Mudec si sta tutti con il naso all’insù...
Gauguin Paul (1848-1903). Paris, musÈe d'Orsay. RF1994-2.
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