Elio: «Jannacci racconta una Milano poco nota all’esterno, più vera»
Concerto-spettacolo martedì 20 febbraio al Teatro Donizetti: Elio porta in scena “Ci vuole orecchio”
Concerto-spettacolo martedì 20 febbraio al Teatro Donizetti: alle 20.30 va in scena “Ci vuole orecchio” in cui Elio “Canta e recita Enzo Jannacci”, come recita il sottotitolo. Grazie alla coloratissima scenografia di Giorgio Gallione (anche regista) e agli arrangiamenti di Paolo Silvestri, il leader delle Storie Tese porta in scena assieme a cinque musicisti il repertorio del “poetastro”, come amava definirsi, arricchito da scritti e pensieri di quelli che furono i suoi compagni di strada reali o ideali: da Beppe Viola a Cesare Zavattini, da Franco Loi a Michele Serra, da Umberto Eco a Dario Fo.
Jannacci è stato il cantautore più eccentrico e personale della storia della canzone italiana, in grado di intrecciare temi e stili apparentemente inconciliabili: allegria e tristezza, tragedia e farsa, gioia e malinconia. E ogni volta il suo sguardo, poetico e bizzarro, è riuscito a spiazzare, a stupire. Elio ne è in parte un erede, anche se con il gruppo che lo ha reso celebre ha sempre pigiato più sul pedale della goliardia.
Lei è cresciuto a pane e Jannacci, ha detto.
«Sì, anche perché mio padre era in classe con lui. Un caso pazzesco. È stato una fonte d'ispirazione per me, lo ascolto da sempre: è nel mio Dna. Mi piace moltissimo cantarlo ed è uno dei motivi per cui mi sono lanciato in questo spettacolo. Ed è una soddisfazione vedere tantissima gente attirata, ammirata e alla fine quasi sorpresa da Jannacci, che non è mai stato un cantante di massa, a parte alcuni grandi successi, quindi in gran parta la sua produzione è poco conosciuta. È sempre stato fuori dai canoni, per questo mi ha attirato».
C’è anche una grande riscoperta di Gaber, negli ultimi anni. Anche lei, del resto, ha portato in scena "Il Grigio".
«Infatti questo ultimo spettacolo segue l'altro, ed è un altro tassello della mia collaborazione con Giorgio Gallione, che ha cominciato con i Broncoviz. E infatti quando abbiamo partecipato al programma "L'Italia di Crozza", su La7, c'entrava anche lui. Dopo il musical degli Addams, in cui c'era anche Geppi Cucciari, Gallione mi ha praticamente costretto a fare Gaber».
Gaber e Jannacci erano amici.
«Sì, hanno anche cominciato insieme. Poi hanno preso strade diverse. Gaber ha trattato temi più facili da classificare come impegnati e ha raggiunto livelli elevatissimi. Jannacci si è mantenuto in un mondo più assurdo, fuori da ogni giro: uno svantaggio, per la sua notorietà. Racconta una Milano poco nota all'esterno, ma per chi ci abita corrisponde molto di più alla realtà rispetto a quella semplice immagine fatta di efficienza, affari, moda. Ha narrato la parte più intima, e l'ha fatto inserendoci un bel po' di follia. Ma Milano, del resto, è una città folle».
Vi siete mai incontrati?
«Quando avevo 12 anni sono stato operato di appendicite alla clinica Mangiagalli, dove lavorava lui. Ma quando è passato a controllare i pazienti io era sotto anestesia e dormivo. L'ho incrociato una volta nei camerini della Rai, più avanti».