Confessioni di una commessa

La grama vita della promoter

La grama vita della promoter
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Tra le creature più controverse che costituiscono la fauna del centro commerciale ci sono sicuramente le promoter. Se ne stanno lì in piedi, guardando la gente in modo predatorio o annoiato a seconda del momento della giornata. Il passante che le nota, oltre a provare fastidio, percepisce chiaramente che sono esseri non del tutto appartenenti alla galleria. Ibridi a metà strada tra gli addetti ai lavori abituali e vucumprà di passaggio, ma senza braccialettini portafortuna. Il promoter stesso, conscio del suo status ambiguo, abita la galleria dello shopping center in modo variabile, ma sempre con una punta di clandestinità percepibile dagli sguardi.

I più diffusi sono i promotori di telefonia mobile, ma i malcapitati possono trovarsi a reclamizzare di tutto: panettoni, bibite, sigarette, onlus per salvare le formiche, associazioni benefiche per i marciapiedi dismessi, sedie automassaggianti o finestre che non si sporcano. Solitamente la tana del promoter è un tavolino traballante, con sopra un po’ di volantini, qualche penna gadget e una bottiglia di acqua che fa scena, dato che è sempre rigorosamente chiusa. Nessuno sgabello, per carità, non sia mai che il cliente abbia la sgradevole impressione che il promoter non stia soffrendo un po’.

 

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Nella tana c’è quasi sempre un promoter capo branco che si occupa di istruire i suoi gregari e che se ne sta lì a compilare moduli lanciando occhiate indagatrici. Ho sempre avuto l’impressione che facessero le parole crociate, ma sembra invece che compilino moduli sui giovani promoter, sull’andamento delle vendite, sulla gente che passa, sui cani, sulle statistiche, sul meteo. Insomma, loro compilano. Lasciando la grave incombenza di accalappiare passanti agli altri malcapitati.

Solitamente il promoter tipico è giovane, anche se purtroppo l’età media si sta pericolosamente alzando, segnale che molte più persone si rassegnano a venire pagate alla giornata (forse). Solitamente si viene retribuiti con un fisso (molto fisso vicino allo zero) da un’agenzia, per ogni giornata di lavoro svolta.

Il promoter inizia la sua giornata quando il centro commerciale apre. Il branco di promoter è ancora leggermente addormentato nella sua tana. Spetta al promoter anziano spronare i suoi piccoli verso la folla del fine settimana. E così, armati di sorrisi di plastica e volantini, partono. Si buttano nel flusso di persone indifferenti e provano ad agganciare qualcuno. Il cliente che sta passeggiando tranquillamente senza una meta, lo vede con la coda dell’occhio sganciarsi dalla sua piattaforma. La traiettoria della preda inizia piano piano a deviare, mentre lo sguardo diventa fisso verso l’orizzonte infinito e la velocità raddoppia; nel tentativo di evitare anche il contatto più fugace con il promoter, si trascinano dietro fidanzate, bambini traballanti, anziane signore e cani strozzati. Sacrificherebbero tutto pur di lasciarsi alle spalle quell’essere ambiguo e di cui, in tutta sincerità, non ha ben capito la funzione. Quanti di voi capiscono effettivamente che cosa pubblicizzano i promoter prima di iniziare a camminare sui muri per evitarli?

 

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La seconda scena si verifica più facilmente dopo pranzo; il cliente è distratto. Magari sta guardando il cellulare, o parla con il consorte, o semplicemente si stava facendo i fatti suoi. Il promoter, assopito dalla digestione, ma sempre pungolato, gli piomba addosso: «Salve!». Lui, il cliente, colto alla sprovvista sobbalza, e subito dopo sgrana gli occhi e si maledice per aver vagato nella savana senza prestare attenzione agli animali selvatici. Troppo tardi. Il promoter non perde l’occasione di investire il malcapitato con la sua raffica di domande o spiegazioni di qualcosa che nessuno gli ha chiesto. «Posso rubarle solo due minuti? Ha mai sentito parlare della nostra vantaggiosissima offerta per telefonare in Alaska? Che dopobarba usa lei? E la carta igienica quanto le dura?». Terribile. A questo punto ci sono due possibilità per l’ignara preda.

La prima è cercare di scappare senza stare a sentire, simulando fretta e dispiacere e dicendo cose al vento come: «Mi dispiace, non posso, ho il telefono sul fuoco, mi aspettano per parcheggiare l’auto, non uso la carta igienica per radermi». Il promoter solitamente cerca di inseguirlo per un po’, ma non insisterà mai più di tanto perché deve risparmiare le sue preziose energie.

 

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La seconda possibilità è che il cliente si fermi e finga di ascoltare attentamente. Il promoter si illude allora di riuscire a concludere qualcosa e si infervora, sfoderando volantini e lacci portachiavi per lusingare la sua preda. Povero promoter ignaro, la maggior parte delle volte il cliente sta solo cercando di elaborare una scusa plausibile che non lo faccia sentire in colpa per dire: «No grazie, non mi potrebbe importare di meno». Qualcosa che suona come: «La vostra offerta telefonica è molto allettante, ma sa, io per scelta ho deciso di servirmi solo di un telegrafo per le comunicazioni. È una specie di religione, non posso infrangere il primo comandamento: Non avrai altro mezzo di comunicazione all’infuori di me».

E poi ci siamo noi, le commesse. I promoter vanno e vengono, sono animali migratori e non riconoscono i veri dominatori del territorio. Capita così che qualcuno di loro ci fermi e attacchi la solita tiritera. Io allora ascolto, fino in fondo. Poi, con sguardo serio e ben dritto nei suoi lucidi occhietti speranzosi, dico: «Scusami, ma io lavoro qui». Il promoter allora si ritira con i suoi volantini tra le gambe, e io posso procedere verso il mio destino.

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