Pensieri segreti di una commessa La tragedia della taglia 42
Credo ragionevolmente di poter affermare, come commessa, che la consapevolezza del proprio corpo sia un obiettivo che l’umanità deve ancora ampiamente raggiungere. Voglio affrontare, quest’oggi, il delicato tema delle taglie. Sono ben conscia che la tendenza della moda è quella di farci credere che per vestirci bene sia necessario essere asciutte come delle dodicenni. Per carità, se avete veramente quel fisico, a dodici anni come a quaranta, chi sono io per impedirvi di abbigliarvi come i manichini di Zara? Mettetevi anche una maschera bianca inespressiva e scocciatevi le dita modello “saluto della regina d’Inghilterra”, magari poi vi assumono per la vetrina. Ops, questo forse non dovevo dirlo?
La tragedia della taglia è imminente adesso che è uscito il sole e ci siamo accorte che i pantaloncini dell’anno scorso non vanno più bene. Non certo perché siamo ingrassate, lungi da me anche solo il pensiero. È cambiata la moda, o si sono consumati (anche quelli color pervinca che avete messo una volta) o il nostro maestro di yoga ci ha consigliato dei colori più accesi. Fatto sta che i negozi si riempiono di clienti in caccia; quando entrano sono sole e guardinghe. Come commessa sai già che l’epilogo potrebbe essere di due tipi: molto breve, se la vergogna di chiedere un’abominevole taglia 46 prevarrà sulla necessità di abiti freschi. Molto lungo, se la cliente crede di vestire ancora una 38 e di essere entrata alla Prenatal.
I pantaloni per le-senza-glutei. Prima di tutto si avvicinano guardinghe agli espositori centrali, studiando il manichino da lontano e poi esaminando i capi ripiegati ai loro piedi. Non toccano niente per il momento, fanno un giro rapido anche tra gli altri scaffali. Esaminano frettolosamente le collezioni vecchie, passano vicino al reparto “taglie comfort” trattenendo il fiato come se si trattasse di una discarica e poi ritornano lì. Ai piedi del manichino, di cui sono inconsapevolmente schiave timorose. Le clienti del primo tipo fissano insistentemente la pila di jeans a sigaretta color giallo limone, senza osare toccarli. «Non mi staranno mai» pensa la poveretta.
Vi svelo un trucco del mestiere, uno di quei segreti che rivelano solo alle commesse dopo anni di duro lavoro. Pantaloni a sigaretta di tinte più accese del nero vi farebbero i fianchi della venere di Willendorf anche se voi foste la sposa cadavere dopo la dieta. Ma non divulgate troppo questo segreto, mi raccomando, è solo per i pochi eletti che hanno accesso allo specchio. La cliente del primo tipo non riesce nemmeno a vincere il terrore di guardare la pila di pantaloni e cercare la sua taglia 46, figuriamoci provarli e rendersi conto che, effettivamente, non è che stiamo male a lei. Fanno proprio schifo e basta. «Tanto non ci sarà nemmeno la mia misura», pensa fuggendo dal negozio in preda alla vergogna. Noi commesse certo non vi rincorreremo, ma sappiate che esistono anche pantaloni fatti per chi possiede i glutei. Li teniamo solo un po’ nascosti, ché oggi non sta bene alludere al possesso dei suddetti.
Quella che si ostina sula 42. Ma veniamo invece all’altra cliente, quella che invece sceglie la negazione come stile di vita. Si avvicina allo scaffale dei pantaloni improbabili e convinta ne prende un paio. La commessa si mette già le mani nei capelli. Infatti, dopo poco arriva la chiamata, e non è del Signore. «Mi scusi signorina. Ci dev’essere un errore». Sì, ce ne sono tanti, a cominciare dalle taglie legalmente ammesse, ma voi sapete che non si sta riferendo a quello. «Questi pantaloni hanno il cartellino sbagliato. Io ho sempre portato una 42, ma questi non mi entrano». Voi guardate la cliente. Decisamente ha un fisico statuario, che a voi commesse non dispiace nemmeno; si trova soltanto nell’epoca sbagliata. Forse si riferisce alla seconda media, in cui ha sempre portato per tutto l’anno una 42. Ma non si contraddice mai la cliente. Perciò provate con cautela a proporle una taglia in più, o anche due. «Posso portarle una taglia in più, a volte questi pantaloni vestono poco». «No mi porti un’altra 42, magari questa qui è difettosa». Ma certo, capitano spesso errori di circonferenza di venti o trenta centimetri. Noi commesse in gergo le chiamiamo “taglie superiori”, ma anche “difetto di cucitura” va benissimo. Portate un altro pantalone identico al primo, e lasciate pudicamente la cliente chiusa nel camerino col suo tentativo disperato di costringere la natica generosa dentro quella guaina.
La camicia pericolosa. A tutto c’è un limite, ovviamente il pantalone inizia a gemere. Ma piuttosto che provare una 44, la cliente raggiante vi porge il pantalone affaticato: «Ecco, questo andava benissimo, me lo metta pure in cassa, grazie». Voi basite lo deponete in uscita, controllando che tutti i bottoni siano ancora al loro posto e non conficcati nel controsoffitto. Da lontano la osservate alle prese con una camicia da abbinare ai pantaloni, rigorosamente taglia S e dalle tinte improbabili come il rosa ecru (farebbe apparire “sbattuta” persino Naomi Campbell, immaginate la nostra cliente, che della statua ha anche il pallore marmoreo). Dovete sapere che il giromanica di questo capo è stato predisposto per favorire i prelievi di sangue. E che, soprattutto, il seno non è contemplato. Vi ostinate a portarvelo appresso, ma non sta bene, un po’ come i glutei. Quindi, mie giunoniche amiche, sappiate che quando cercate di infilarvi quella camicia potreste essere responsabili di omicidio. Le commesse si riparano dietro la cassa, ma gli altri clienti non sono pronti al bottone ninja che schizza dal vostro petto. Ma loro si ostinano, e comprano anche quella camicia, la quale giacerà insieme ai pantaloni gialli in fondo all’armadio fino alla prossima estate, quando verranno ceduti alla Caritas con l’etichetta “vestiti da bambina”.
Le commesse vi fanno pagare, succubi del loro destino di vestali del commercio e sì, a volte anche un po’ sadicamente, lo ammetto. Tuttavia oggi, come commessa con il potere di essere sincera, vi confesso che a me le statue greche piacciono molto, e se misurate loro il girovita non è certo una taglia 42. Siatene fiere, ma soprattutto, per amore della classicità, niente pantaloni giallini.