Dentro al supermercato

Pensieri segreti di una commessa L'infernale vita del macellaio

Pensieri segreti di una commessa L'infernale vita del macellaio
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Ormai non esiste più la bottega di paese, lo sappiamo tutti. Ricordiamoci con nostalgia la rilassata atmosfera di quando si andava dal macellaio e mentre si sceglieva la carne si dissertava su ricette e pranzi. Non possiamo più dire “il solito” e attendere comodamente che ci passino la borsa piena della spesa per tutta la settimana. Ma soprattutto, vi ricordate quando eravate solidali col macellaio se entrava uno di quei clienti lenti e noiosi, che ti chiedono il prosciutto affettato a due millimetri, perché a tre si incastra tra i denti e a uno invece si spacca? O quando c’era quella signora che arrivava e chiedeva tutto l’albero genealogico della mucca prima di prendere una bistecca? Bene, la solidarietà è finita, i paranoici di tutti i paesi si riversano in massa nel reparto carni del nostro supermercato. Oggi vi racconterò l’infernale vita del macellaio.

 

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Il numero d'attesa. A parte il fatto che se ne deve stare lì con una cuffia da doccia di carta sulla testa in mezzo a tutti (il mio macellaio aveva i capelli lunghi, lo ricordo bene, e non ho mai mangiato nemmeno un capello), la sua è una vita difficile. Innanzitutto il numero d’attesa. Tutti prendono diligentemente il numero, ma questa è la fine della regolarità. C’è chi lo prende e poi lo accartoccia, lo scartoccia, lo mette in tasca, nel naso, in bocca, lo dà al cane e al bambino (in quest ’ordine) e poi quando tocca a lui appoggia quella cosa informe e ormai illeggibile sul bancone. A questo punto il numero non c’è più e il macellaio comunque avrebbe anche un po’ schifo a esaminare quel reperto, quindi crede sulla parola al cliente e lo serve.

L'ansiosa. Poi c’è la signora ansiosa. Ha il numero ottantacinque, ma lei già quando stanno chiamando il trenta è lì davanti al vetro, che vi fissa minacciosa. Lo tiene davanti al naso e dondola da un piede a l l’altro, mettendosi con movimenti impercettibili sempre davanti alla persona che sta invece usufruendo regolarmente del suo turno. Ogni tanto mormora minacciosa: «Si sbrighi» o anche: «Ma quando tocca a me?» o la migliore: «Ma sono tutti qui stamattina?». Probabilmente la signora non ha ben intuito la scala dei numeri, né la funzione del tornello, né che se lei tende a entrare dentro al vetro della carne, intralcia e rende lente le operazioni, con grande stizza del macellaio e dei clienti. Puntualmente poi, quando finalmente tocca a lei, non c’è più. Sparita. La ritroveranno alla parafarmacia con lo stesso biglietto. La numerazione era più favorevole e dopotutto tra una bistecca e una supposta, la differenza è irrisoria.

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La rissa per passare davanti. Nel momento di ressa maggiore invece, abbiamo l’opportunità essere testimoni del massimo grado di civiltà raggiunto dalla nostra società. Tutti stanno premuti davanti al bancone con una densità di persone per piastrella superiore a quella di un vagone per la Versilia in agosto. Nascondono il numero nel pugno, perché il loro intento è quello di passare avanti al prossimo ad ogni costo. E quando dico ogni costo, è ad ogni costo. Il macellaio, per quanto onesto sia, ha già perso la speranza di far rispettare le regole a un gregge di italiani nell’ora della spesa. Si gode lo spettacolo. Enuncia il numero ad alta voce e vede la massa di clienti schiacciarsi nella piastrella di fronte a lui.

Gli anziani vengono rimossi subito, la natura ha fatto il suo corso nella spietata giungla del centro commerciale. Per secondi soccombono i mariti mandati dalle mogli; non hanno abbastanza motivazione e soprattutto hanno paura di tutte quelle donne in assetto da spesa. Se la giocano loro, la madre con il bambino piangente nel carrello, abbandonato laggiù vicino alla frutta, e la massaia, campionessa della categoria peso massimo di lancio della cassa di acqua frizzante. I gomiti sono alti, sotto al limite visibile del bancone probabilmente indossano scarpe chiodate con cui hanno bucato i piedi di tutti quelli che stanno alle loro spalle. Alla fine, la forza bruta della massaia schiaccia contro il vetro la madre e schiaffa il suo biglietto sul bancone facendolo tremare (non corrisponde ovviamente al numero sul display, ma nessuno la contraddirà); dice trionfante: «Un etto di pancetta, grazie». Il macellaio deglutisce ed esegue.

 

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I clienti matematici. Esistono poi i clienti matematici. Quelli che prendono il biglietto, guardano il display e poi con l’orologio alla mano iniziano a interrogarti: «Mi scusi, ma se io ho davanti trentasette numeri e lei ci mette tre virgola quindici minuti a servire ogni persona, io più o meno a che ora verrò servito? Secondo i miei calcoli, o a causa di questi calcoli, mai.

Il fuggitivo. Concludiamo con il mio preferito. Quello che prende il numero e poi se ne va. Ma non nei paraggi tenendo d’occhio il display, no. Lui proprio fugge, cambia reparto, addirittura a volte negozio e forse forse anche centro commerciale. Vaga nell’iperuranio pacificamente, compiendo chissà quali gesta eroiche in altre galassie. Però conserva il biglietto come fosse un testamento e torna, torna sempre. «Mi scusi, io ho il numero quindici, ma ho visto che è andato un po’ avanti. Toccherebbe a me». Il macellaio e gli altri clienti guardano il numero attuale: novantasei. Cala il silenzio in tutto il reparto. Attorno a lui si crea un cerchio vuoto. Cari clienti fuggitivi, non vi hanno mai insegnato a non indisporre chi tiene in mano un coltello?

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