Perché i vegani ci stanno antipatici
George Orwell diceva: «Ci sono persone, come i vegetariani e i comunisti, con cui è impossibile discutere». È il tipico atteggiamento di chi prova antipatia o avversione verso chi decide di nutrirsi di soli prodotti vegetali, noto anche come "vegefobia". Secondo un articolo pubblicato l'8 ottobre da Wired, alla base di questa diffusa ostilità ci sarebbe un senso di invidia verso lo stile di vita sano e consapevole di chi rinuncia alla carne e alle sostanze di origine animale. L’insofferenza rappresenterebbe, in questo senso, un modo per scacciare un senso di inferiorità o di colpa da parte di chi è troppo pigro o troppo ingordo per avere uno stile di vita più sano. Ma quello dell’autrice dell’articolo, che si dichiara «un’occidentale media» e «mediamente onnivora», è un mea culpa controcorrente. La rete pullula di siti, forum e pagine Facebook dove messaggi minacciosamente antivegani non solo avvertono che “io sono carnivoro e ci resto”, ma anche (parafrasando) ”io odio i vegani”.
Veganismo, una scelta di vita. Quando l’avversità non si scatena in toni accesi e inaudite violenze verbali, ma le ragioni vengono esposte con scienza e coscienza, si scopre però che la vegefobia ha raramente a che fare con la scelta compiuta dai vegani di un regime alimentare specifico. Oggetto delle critiche è, in primo luogo, il cosiddetto pensiero antispecista soggiacente al veganismo, inteso come rifiuto di contribuire alle sofferenze di altre specie, comprando prodotti di origine animale o testati su animali (inclusi lana, seta, cuoio, cosmetici e farmaci). Secondo gli antispecisti la capacità di provare dolore rappresenta una ragione sufficiente per riconoscere uguali diritti a ogni animale e ad affermare l’inesistenza di differenze tra le specie. Le motivazioni etiche antispeciste alla base del veganismo lo differenziano dal semplice vegetalismo.
L'eccesso: dal veganismo al fanatismo. Purtroppo talvolta si sconfina nel fanatismo alimentare, ben rappresentato in Hungry Hearts ("Cuori affamati"), film di Saverio Costanzo: seguendo i precetti di alcune pubblicazioni parascientifiche, una giovane madre post-anoressica e ultravegana è decisa a respingere qualsiasi suggerimento medico, dall’uso degli omogenizzati alla più innocua delle ecografie, fino a pregiudicare la normale crescita del figlio. Gli eccessi alla base dei comportamenti praticati anche da alcuni vegani oltranzisti, dal digiuno prolungato a una dieta rigorosamente crudista, sono causa nei neonati di disturbi alimentari, come l’ortoressia, una sindrome caratterizzata dall’ossessione per un’alimentazione sana che porta all’esclusione di cibi essenziali per un’alimentazione equilibrata.
Numeri in crescita. Ma è bene che, almeno per ora, i “vegefobi” si mettano l'anima in pace. L'ultima indagine Eurisko 2015, infatti, parla di cifre vegane in aumento: sono 4 milioni e 600mila le persone che in Italia non mangiano più né carne né pesce (il 6 percento) o rifiutano tutti i prodotti animali (3 percento). L’indagine offre anche la fotografia del vegano italiano medio: vive soprattutto nel Nord-Ovest (36 percento), abita in grandi città (13 percento), occupa posizioni dirigenziali (25 percento) ed è una donna (58 percento) tra i 45 e i 54 anni (28 percento), spesso in possesso di una laurea (17 percento).
Una scelta di responsabilità. Se quella del veganismo è considerata da qualcuno come una scelta influenzata dalla moda e potenzialmente reversibile, in realtà la rinuncia alla carne è per molti una tendenza destinata ad affermarsi stabilmente: alle ragioni etiche e a quelle salutistiche, si affianca anche un discorso di sostenibilità delle risorse mondiali. In questa direzione si è pronunciato Umberto Veronesi su Repubblica. Essere vegani non è solo chic, è una scelta di «responsabilità individuale nei confronti del pianeta, perché il consumo di carne oggi non è più sostenibile». Albert Einstein, negli ultimi anni della sua vita, affermava che «niente aumenterà le possibilità di sopravvivenza di vita sulla Terra quanto l’evoluzione verso un’alimentazione vegetariana». Un’affermazione che Veronesi condivide: «Il consumo di carne è dannoso per l’equilibrio ambientale e la gestione delle risorse di cibo e acqua necessarie per la vita dell’umanità sulla Terra. Per produrre un chilo di carne sono necessari fra 15 e 20mila litri di acqua, mentre ce ne vogliono mille per ottenere un chilo di cereali. Gli animali da macello trasformano in carne da consumare non più del 10 percento del cibo che ricevono, e che potrebbe essere impiegato nell’alimentazione umana. Il 50 percento dei cereali e il 75 percento della soia prodotti nel mondo servono per nutrire 5 miliardi di animali da trasformare in cibo per un miliardo di persone sovralimentate, invece che per sfamare persone che soffrono la fame». Nessuno obbliga qualcuno a diventare vegano, ma ascoltare le ragioni di chi la pensa diversamente non fa di certo male. Magari davanti a un’insalata di farro o a una bella bistecca.