Non riesco a crederci
Io non ci credo ancora che sia stato lui. Meglio: non voglio crederci. O non riesco – forse – a crederci.
Quell’uomo su tutte le prime pagine: magro, pizzetto, padre di tre figli, bergamasco. Uno-di-noi. Vicino di casa – si può dire – dei Gambirasio. Nipote della domestica. Impossibile che sia stato lui.
Per come sono andate le cose in questi tre anni e mezzo ho sempre pensato che chi ha ucciso Yara non avesse un volto umano. Mi immaginavo fosse un orco, un mostro. Il diavolo, magari.
E invece “questo qui” è uno qualsiasi, normale al punto che i media, per dargli un tono, hanno scelto la foto di Facebook in cui – se non altro – ha lo sguardo un po’ torvo visto che i cani sembrano lì buoni buoni.
Ovvio che l’omicidio di Yara mi abbia colpito. Sono tre anni e mezzo che lo porto con me. Il fatto poi che sia avvenuto con crudeltà, come riporta l’atto di accusa dei magistrati, mi ha fatto ancora più male. Ma è quello che è accaduto dopo, il giorno dopo, il mese dopo, gli anni dopo a rendermi sempre e ancora più incredulo.
Abbiamo assistito alla più grande caccia all’uomo della storia d’Italia: decine di poliziotti e carabinieri impegnati nelle indagini. E “questo qui” – un bravo ragazzo, come hanno detto i vicini – sarebbe andato avanti tranquillo a farsi la sua vita di artigiano, marito e padre che la domenica portava a messa la famiglia?
Abbiamo vissuto – li ricordo bene – giorni di angoscia quando Yara non si trovava. C’erano in giro migliaia di persone a cercarla in mezzo alla neve. Si ripetevano appelli, si elevavano suppliche, si rivolgevano preghiere a tutti i santi del paradiso: e “questo qui”, niente? Sentito niente, come se la cosa non lo riguardasse?
C’è stato lo scalmazzo – direbbe il commissario Montalbano – del ragazzo marocchino: se lo sono andati a prendere su una nave in mezzo al mare, lo hanno portato in carcere, denigrato su tutte le pagine dei giornali (anche lui), umiliato. Era sbagliata la traduzione. E “questo qui”, l’artigiano edile di Mapello padre di tre figli, avrebbe lasciato che tutto questo accadesse senza avvertire un sussulto di dignità?
Abbiamo pianto. Il giorno in cui Yara è stata trovata, e nei giorni successivi, abbiamo pianto. L’Italia intera – è così – ha partecipato ai suoi funerali. E “questo qui”, che abita a un chilometro da Brembate Sopra, sarebbe andato avanti a fare quello che doveva fare come se niente fosse, dormendo di notte e alzandosi la mattina per riprendere il lavoro?
Ore e ore di trasmissioni televisive sul caso Yara – uno spettacolo nauseante – tanto da chiedere ai giornalisti la pietà di un po’ di silenzio. E “questo qui” – in casa o al bar o in giro coi suoi cani – mai un commento, la tv non la guardava, non s’è accorto di niente?
Abbiamo seguito le indagini passo passo. Sappiamo tutto su ignoto1, ci siamo fatti una cultura sui profili genetici, abbiamo accettato senza batter ciglio i controlli su 15mila persone, siamo venuti a sapere del padre defunto del presunto assassino e della madre. Possibile che “questo qui” non si sia sentito braccato, perso, inseguito? Non lo sapeva com’era venuto al mondo? Come ha fatto a reggere tre anni e mezzo così?
Tutti gli indizi portano a lui. Ma lunedì, durante l’interrogatorio, ha detto solo di non essere stato lui ad assassinare la ragazzina. E anche ieri non ha risposto.
E io un po’ gli credo, perché non riesco a immaginare che possa esistere uno così. Sarebbe troppo sconvolgente, troppo banale, troppo tutto. Ho bisogno di un mostro vero, non di un uomo, come me.