Amo Bergamo e i suoi mille volti (Scritto da un pendolare di Milano)
[Foto © Devid Rotasperti, Mario Rota, Antonio Milesi, Luca Caslini]
Perché Bergamo. Perché sono tante. E perché non sai mai, quando vai in giro, se sei dentro o fuori. Se sei ancora in città o sei già in campagna. Se stai andando verso il centro o verso le valli. Certo: ci sono tante cose belle da vedere, a Bergamo. Tanti quadri, tanti edifici famosi che uno dice: bello, bello. Ma si possono vedere anche sui libri o su Pinterest.
Preferisco Bergamo. Preferisco camminare (amo il tempo). Più di ogni altra cosa preferisco perdermi, non sapere dove sono: si sale, si scende, si svolta. Scale, strade, passaggi, muri alti, prati, case, selciati, cupole, porte, facciate, torri, conventi. Prospettive infossate, squarci di pianura, colli, vetri che luccicano, cipressi, cielo, vallate improvvise con monasteri (forse).
Le Mura di notte - Luca Caslini
Di notte, d’inverno: da via Villasanta guardando verso nordovest, verso l’alto, tutte le luci delle strade e delle ville. D’autunno, poco prima del tramonto: via Santa Lucia Vecchia in discesa, verso metà percorso. Primavera, o qualche sabato uggioso d’autunno-inverno: a Colle Aperto, cercando di rintracciare la vecchia Polveriera Veneta. Pioggia: i gerani alle finestre di una prora d’albergo dalle parti di Piazza Vecchia. C’è anche una fontana, nella piazzetta. Buio: su su per via sant’Alessandro - si passa davanti alle suore - poi ancora su, fino alle mura. O viceversa. In alto, da via delle Armi, si può scegliere se andare di qua o di là, tanto poi ci si ritrova. Quando si è stanchi: Caffé del Tasso.
Anche dal Seminario, a venire in giù verso sinistra, verso la panetteria, c’è un punto bellissimo: una piazza tutta storta, con alcuni lati dritti e uno curvo. Porta Garibaldi: in salita, lo strappo finale del Giro di Lombardia. Se continuavano a chiamarla San Lorenzo era meglio. Quando, arrivando da Porta sant’Agostino, si vede a sinistra la Carrara e a destra il muraglione della GAMeC. Via Pignolo, via Pelabrocco, via sant’Elisabetta, che un po’ salgono scendono s’incontrano in larghi sbilenchi. La Fondazione Bernareggi.
Lungo l’autostrada, per chi viene da Milano, ci sono due cose bellissime. Prima si incontrano due campanili quasi uguali: uno sulla sinistra, prima di Dalmine. Dev’essere Osio Sopra. L’altro sulla destra, più avanti, che è quello di Stezzano, che però adesso si vede meno. Anzi: forse non si vede più del tutto per via delle barriere antinonsocosa. Per anni ho pensato che fosse lo stesso campanile che si spostava prima o dopo l’Autogrill. Meglio: che fosse un campanile solo e che continuavo a sbagliarmi, perché avrei pensato che dovesse stare dall’altra parte. Quello di Stezzano, adesso, si vede quando ci si passa per la strada normale. Tutta la chiesa è di una eleganza estrema, con quella balaustra in barocchetto che sembra che ti vengano a dare la comunione in piazza. Ma se si pensa che si è da questa parte dell’autostrada e ci si ricorda di averne visto uno uguale dall’altra lo straniamento si produce lo stesso. Meraviglioso.
L’altra cosa stupenda è di notte, quando - tornando a Milano - si passa davanti al Kilometro Rosso. Andando verso Venezia non è così bello, perché si vede male. Si è troppo a ridosso. Ma tornando verso Milano il parcheggio del Kilometro Rosso, vuoto e con tutti i cubetti di luci blu accese, sembra di poter partire per la Luna. Peccato che in autostrada non ci si possa fermare. O forse è meglio così, perché andando lo si vede muovere, quasi ruotare. E poi il rosso del Kilometro Rosso è già bello di giorno, ma la notte sembra carbonchio, rubino scuro e prezioso.
E poi la gente. Parlano tutti bergamasco a Bergamo. Che è una lingua che sorprende ogni volta che suona come fosse la prima. Perfino i neri - giù in basso, in via Quarenghi - ti aspetti che parlino bergamasco.
E poi l’Atalanta. Ma quella non c’è bisogno di ricordarla. Dopo due minuti che sei in città capisci subito dove sei capitato: ad Atlanta. O a Talanta. Insomma: in una delle cento Bergamo.