Cicli Pesenti, 80 anni sui pedali
Antonio Pesenti finisce di regolare la vite del cambio di una Wilier Triestina, un bella bici da corsa, si pulisce le mani nello straccio, si siede, dice: «Compiamo ottant’anni, sì. Io ne ho quarantacinque, ho cominciato a frequentare il negozio quando ero un ragazzino, insieme a mio fratello Luca. Eravamo in piazzetta Santo Spirito, il negozio è nato lì».
Il negozio in Piazzetta Santo Spirito. Era il febbraio del 1937, Antonio “Tone” Pesenti in Bergamo era una celebrità: era stato il primo bergamasco a vincere un Giro d’Italia, nel 1932, e a sfiorare la vittoria nel Tour de France del 1931 e del 1932 (arrivò rispettivamente terzo e quarto). Nel 1937 aveva ventinove anni e ancora correva, anche se il suo astro era ormai declinato. Prese i risparmi sudati sulle salite di mezza Europa e li investì nel negozio. A quel tempo, piazzetta Santo Spirito era un cuore nevralgico della città, così come Pignolo era una via (e un quartiere) che pullulava di vita. Non come oggi, insomma. Pignolo in quegli anni era un formicolare di gente, di attività commerciali e artigianali, di carri che salivano e scendevano, di bambini che si rincorrevano e schiamazzavano. Dice Piero Bosio, da 83 anni abitante del quartiere: «Io sono del 1934, non ricordo quando il negozio venne aperto, ma ho in mente bene la bottega già durante la guerra e subito dopo. Era il negozio di ciclista più bello di Bergamo. Faceva a gara con quello del Gino Tramontini, altro ciclista professionista che aveva smesso di correre e aveva cominciato a fabbricare biciclette. Ricordo bene gli anni di Coppi e Bartali, quando tutti noi ragazzi sognavamo una bicicletta da corsa e una bici del Pesenti era il massimo dei nostri sogni».
Guglielmo Pesenti.
Il secondo negozio in via Fantoni. Antonio Pesenti smise di correre alla vigilia della guerra. Rimase nel suo negozio di piazzetta Santo Spirito fino alla morte, avvenuta il 10 giugno del 1968. Aveva compiuto da pochi giorni i sessant’anni. Racconta il nipote, anche lui Antonio Pesenti, quarantanove anni dopo: «A dire la verità questo negozio non è quello del nonno. Abbiamo lasciato la sede di piazzetta Santo Spirito nel 1994. Il fatto è che il borgo si era spopolato, raggiungere la piazzetta non era facile, soprattutto in auto. Mio padre, Guglielmo, ritenne che dovevamo cambiare sede e così ci siamo trasferiti qui in via Fantoni, era il 1994, esattamente ventitré anni fa. Io avevo venticinque anni e lavoravo in negozio. Dico la verità: da giovane non ero innamorato del ciclismo, il vero appassionato era mio fratello Luca. Poi invece mi ci sono immerso completamente. Avevamo creato anche una squadra di amatori che ha continuato a prosperare e adesso conta ben ottanta tesserati. La mia è stata una passione tardiva: quando ho cominciato a correre ormai non potevo più pensare al professionismo».
Il ciclismo nel Dna. Antonio Pesenti junior ha vinto tante corse da amatore. Il fratello Luca è stato un ottimo dilettante. Il corredo genetico del buon “Tone” continua a serpeggiare in famiglia. Racconta Antonio: «Mio padre Guglielmo è stato un ottimo corridore professionista, ma con caratteristiche molto diverse da quelle di suo padre. Mio nonno era uno scalatore, mio padre era invece un corridore di potenza, per questo era fortissimo in pista, nella velocità pura. Ha detenuto il record del mondo dei duecento metri lanciati e ha vinto la medaglia d’argento alle Olimpiadi di Melbourne nel 1956. A proposito, mio padre mi raccontava un episodio accaduto a Melbourne subito dopo le Olimpiadi. Accettò la sfida di tre velocisti australiani e si trovarono nel velodromo stracolmo di tifosi, c’erano anche tanti italiani immigrati laggiù. Quando si trovarono in pista, gli australiani fecero di tutto per farlo cadere. Erano in tre contro uno, alla fine davvero lo buttarono fuori. Mio padre venne portato in infermeria. Nel velodromo scoppiò il finimondo: gli emigrati italiani invasero la pista, presero i ciclisti australiani e li bastonarono. Il commissario tecnico italiano corse in infermeria da mio padre, gli disse di uscire, che solo lui poteva calmare i tifosi. E lui uscì per far vedere che, tutto sommato, stava bene. Riuscì a calmarli. Mio padre mi diceva sempre che gli australiani non sanno perdere...». Guglielmo Pesenti corse in pista negli anni di gloria di questa specialità che anche in Italia (ma non solo) era seguita come il calcio: nelle riunioni su pista al velodromo Vigorelli di Milano partecipavano trentamila spettatori.
A sinistra Antonio Pesenti nel negozio di via Fantoni. A destra, Antonio, Luca e mamma Silvia.
La bici negli ultimi decenni. Racconta ancora Antonio: «Mio padre smise presto perché in una caduta si ruppe il femore. Cominciò a lavorare, ma non si interessò subito del negozio. Lo conducevano mio nonno e mia nonna Emma. Nonna Emma alla cassa». In tutto il quartiere di Pignolo, la signora Emma era nota per la sua caparbietà, una vera “Lady di ferro”. Mentre il nonno Tone era conosciuto per la sua bonomia... Continua Antonio: «Mio padre subentrò quando ormai anche la nonna era vecchia e stanca e io cominciai a dare una mano, senza troppa convinzione. Nel frattempo il ciclismo era cambiato profondamente. La bicicletta aveva vissuto un periodo di crisi da fine anni Cinquanta fino al termine dei Settanta. La gente voleva l’utilitaria, tutt’al più il motorino. Se andavi al lavoro in bici eri uno sfigato.
Ma dai primi anni Ottanta le cose sono cambiate, sono nate le piste ciclabili, il ciclismo turistico e amatoriale è diventato sempre più importante. L’innovazione tecnologica è stata notevole... Siamo passati dal telaio in acciaio a quello in alluminio e a quello in fibra di carbonio. Dai tre rapporti siamo passati alle oltre venti combinazioni diverse di velocità. E sono nate le mountain bike, alla fine degli Anni Ottanta, e adesso c’è il boom della bicicletta elettrica, a pedalata assistita...».
Cicli Pesenti oggi, una storia di famiglia. Cicli Pesenti va avanti con Antonio e Luca. Danno una mano anche Francesca, moglie di Antonio, e mamma Silvia, l’incantevole cassiera del Balzer che in quella fine degli Anni Cinquanta si innamorò di Guglielmo. Dice la signora Silvia: «Mio marito è morto quasi quindici anni fa, ma per me è come se fosse ancora qui. Il nostro è stato un amore meraviglioso, sa? Roba da scriverci un romanzo».