Dentro un ospedale ucraino con "Aiutiamoli a vivere Caravaggio": la spedizione
Reportage dall’Ucraina: un convoglio umanitario guidato da "Aiutiamoli a vivere Caravaggio" ha consegnato nei giorni scorsi un'ambulanza mezzo alla città di Yasinya, in Ucraina. Abbiamo seguito la spedizione
Pronti a partire, ancora, per dare una mano a chi vive all’inferno. La meta questa volta è di quelle che può far tremare i polsi: varcare il confine di una terra in guerra. Un’enorme incognita: ci fermeranno i soldati? Quel lembo di terra a circa 250 km da Leopoli, nell’Ucraina occidentale, sarà davvero tranquillo? Le domande si accavallano nella mia mente ma nel cuore non ci sono dubbi.
La spedizione di Aiutiamoli a vivere Caravaggio
Partenza mercoledì 8, alle 10, dall’oratorio di «San Pietro». L’emozione è tanta, chissà cosa troverò in quella terra martoriata così lontana eppure mai così vicina. Quel che è certo è che la spedizione consegnerà un’ambulanza donata da un comitato trentino della fondazione «Aiutiamoli a vivere» all’ospedale di Yasinya, che raggruppa altre quattro comunità per un totale di circa 20mila abitanti e 2.500 rifugiati. I medici ne hanno bisogno, ce n’è solo un’altra per tutti... La cittadina si trova a 85 km dal confine con la Romania, dove il padre cappuccino Eugen Giurgica, che ospita profughi in fuga nel suo convento, ci aspetta col nostro carico di aiuti: alimentari, prodotti per l’igiene personale e farmaci.
La cavalcata attraverso Slovenia, Ungheria e Romania la conosco, chilometri da macinare e la dogana romena da passare, ma rispetto al viaggio dello scorso 18 marzo i miei compagni sono più numerosi: sul nostro furgone ci sono il capo spedizione Gioachino Danesi del comitato caravaggino di «Aiutiamoli a vivere», la presidente di «Pro Caravaggio» Beatrice Ferri e la sua vice Sara Trufelli, Andrea Alloni dell’associazione di Mozzanica «Aiutiamoli divertendoci», il caravaggino residente a Mozzanica Devis Mora, Diego Ondei di Spirano e Fabrizio Gualandris di Morengo. Ma a Rosolina, in provincia di Rovigo, ci aspetta il presidente nazionale della fondazione Fabrizio Pacifici con i consiglieri nazionali Francesco Fiorelli, Lino Dal Monte e Vittorio Pagani di Terni, il presidente del comitato di Argenta, nel Ferrarese Paolo Bottoni, Renato Terrin, Gianni Guerra con il presidente Flavio Checchin del comitato di Brenta Saccisica, nel Padovano.
Pranzo al sacco, carichiamo gli scatoloni di aiuti provenienti da Caravaggio, Bariano e Pagazzano, stoccati lì in precedenza e via, alla volta di Pri Janezu, in Slovenia, dove passeremo la notte. L’indomani, attraversata l’Ungheria, al nostro arrivo in serata alla base logistica romena di Sighetu Marmației, il caldo abbraccio di padre Eugen e del volontario emiliano Maurizio Tamburini ci fa scordare la fatica del lungo viaggio, anche se nella nostra «truppa» il ghiaccio si è sciolto presto ed è stato piacevole osservare il paesaggio cambiare tra chiacchiere e musica. Una buona cena e un sonno ristoratore ci vogliono proprio prima del gran giorno: si entra in Ucraina.
Oltre il fiume Tibisco
Il ponte sul fiume Tibisco, dopo la dogana, è sempre lì: a marzo scrutavo al di là, tra la boscaglia, curiosa di sapere cosa accadesse laggiù, e ora lo attraversiamo. Con noi ci sono anche padre Eugen e il medico Adrian Danciu. Il sacerdote è sul nostro furgone e presenta i passaporti, mentre un elicottero che sorvola la zona proprio in quel momento ci mette un po’ d’ansia ma passa subito ed eccitati osserviamo il cartello con la scritta in cirillico che indica che siamo in terra ucraina. Riaccendiamo il motore e davanti a noi si apre un paesaggio collinare con vallate verdissime, che si affacciano sul fiume-confine, dove a tratti c’è il filo spinato. La strada è sinuosa ma senza buche, le case con i caratteristici tetti a punta si alternano e così le cupole delle chiese, in rame, che brillano al sole. Tutto è tranquillo, non sembra vero. Ma a ricordarci dove siamo c’è un posto di blocco, i primi soldati che vediamo oltre a quelli alla frontiera: il cartello sui mezzi che indica che siamo un convoglio umanitario ci consente però di passare indenni. Lungo il percorso solo un mezzo militare, per fortuna non è qui che si combatte. Ma i distributori di benzina segnano lo zero, di carburante non ce n’è, di anziani a piedi invece sì.
Dentro Yasinya
Un’ora o poco più ed entriamo a Yasinya, dove le gente non ha smesso di vivere nonostante la gigantesca spada di Damocle che pende sopra la sua testa. Qui si va avanti con tenacia e speranza. Usciti dalla via principale imbocchiamo una stradicciola di campagna, stretta e dissestata, che ci conduce all’ospedale. Davvero poco agevole per un’ambulanza che trasporta malati... Ad accoglierci troviamo il sindaco della città che ci riceve con un sorriso, insieme a tutto il personale sanitario e due interpreti: una traduce dall’ucraino all’inglese e l’altra, Teodora Danciu, figlia del medico romeno che ci accompagna, dall’inglese all’italiano.
«Siamo orgogliosi di avere la vostra delegazione qui, in una delle zone più belle del Paese - ha esordito il primo cittadino - la nostra non è una comunità molto grande, circa 20mila persone, ma l’ambulanza è una sola, finanziata dalla comunità stessa. Grazie di cuore».
Un ospedale da terzo mondo
A parlare con noi del nosocomio, che ospita i reparti di Medicina interna e Pediatria oltre a un ambulatorio medico, e che funge da punto vaccinale Covid-19, è il direttore sanitario, felice di sapere che sull’ambulanza italiana è presente un dispositivo a raggi ultravioletti che consentirà, anche da un pc, di sanificare il veicolo nel caso di trasporto di pazienti affetti dal virus. Mostriamo anche le apparecchiature presenti a bordo, per spiegare il funzionamento delle quali è stato realizzato un video. Quindi il momento della visita all’ospedale, dove ci invitano cordialmente: uno stabile pulito e ben organizzato, ma vecchio, senza un ascensore funzionante e fornito di strumentazioni a dir poco obsolete. «Questo macchinario per la radiologia ha più di 40 anni - ha rivelato il direttore sanitario - quest’altro per la pneumatologia è da museo e se si rompe qualcosa ci pensiamo noi». «Il Governo se ne frega» ha commentato il sindaco. Medici e infermieri insomma si arrangiano con quello che hanno, trasportano i pazienti a braccia per le scale e fanno anche da meccanici. Un pugno nello stomaco per tutti noi.
«Ora abbiamo visto e non ci dimenticheremo di voi» ha promesso Pacifici. Al termine della visita, con squisita ospitalità, il sindaco ci invita in un ristorante tipico e ci offre il pranzo per ringraziarci.
«Oggi è una giornata molto importante per la comunità - ha affermato invitando tutti a brindare con lui prima del pasto - è la prima volta che ospitiamo una delegazione importante come la vostra. Un’amicizia e una collaborazione che speriamo possa continuare. Siamo orgogliosi di ricevere un aiuto da voi in momenti così difficili, grazie agli italiani. Mi auguro che non proviate mai cosa significa la guerra, salute a voi e alle vostre famiglie. Apprezziamo quello che fate e vi aspettiamo qui in tempo di pace per godervi il relax». Applausi e sorrisi hanno salutato il brindisi, che ha scaldato il cuore di tutti. Missione conclusa e ritorno in Italia dunque, con la consapevolezza di aver portato una goccia nel mare. Ma il mare è fatto proprio di gocce.
Monia Casarotti