10 pittoreschi insulti in bergamasco
Per un bergamasco l’insulto non è un’offesa, è una constatazione. Così come contempla lo scorrere dei giorni e il ciclo della natura, osserva con serena accettazione gli innumerevoli difetti altrui. Per poi sottolinearli con parole che sono attrezzi da lavoro quotidiani, utilizzati per educare senza ferire. Perché il bergamasco è, per indole, edificante.
Codér
Dicesi di zucca vuota, come il corno in cui riporre la pietra cote da cui prende il nome. Siccome il corno è di bue, si aprono altri interessanti scenari.
Saiòt
Tonto e maldestro. Curiosamente, il significato etimologico è “cavalletta”. Con ogni evidenza, la goffaggine è una calamità devastante.
Tàmbor
Duro di comprendonio, ha il quoziente intellettivo di un tamburo. Interessante la variante accrescitiva “tamburù”. “Pèl de tàmbor” è invece colui che non si distingue per sensibilità.
Codeghì
Simpaticamente associato a un cibo diffuso e apprezzato, è l’affettuoso appellativo per chi finisce spesso, per propria stupidità, insaccato.
Balabiót
Espressione nata in tempi in cui ci si spogliava solo per necessità, nel senso di indigenza, è individuo misero e meschino.
Principessa dal cül de pessa
Attribuito a donne che lavoravano meno di 14 ore al giorno, oppure trasportavano carichi inferiore al quintale. Femminucce, insomma.
Lendenù
Se la “lèndena“ è l’uovo del pidocchio, perché il “lendenù” è il fannullone? L’ipotesi è che, stando fermi, si faciliti la domiciliazione dei parassiti.
Löciaègie
Chi non perde occasione per lamentarsi di ogni minuscola avversità. Detto ai bambini, li educa a una virile asciuttezza di ciglio.
Caafiàt
Termine di sconcertante attualità, identifica colui che non accetta ritardi tra la richiesta e la sua soddisfazione. Pressando tanto vicino da togliere il fiato.
Cicianèbia
Dedicata ai cugini milanesi, è lo spontaneo riconoscimento della diversità territoriale che si traduce in una delicata metafora a sfondo naturale.