Per il progetto Pasturs

Dopo una settimana in alpeggio Nadia racconta la sua avventura

Dopo una settimana in alpeggio Nadia racconta la sua avventura
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Capelli biondi sciolti sulle spalle, un filo di trucco, le unghie laccate di rosso che di tanto in tanto cercano lo smartphone. La ragazza che abbiamo di fronte non sembra certo la Nadia Rizzi di dieci giorni fa, quella che con gli scarponi da montagna, la coda di cavallo e la camicia a quadrettoni che si preparava a trascorrere una settimana di stage in alpeggio alla baita Cardeto, sopra Gandellino, insieme ai pastori. La studentessa 24enne è tornata alla sua vita di sempre, alle sue abitudini, ma negli occhi ha una luce diversa. L’esperienza in alta montagna ha lasciato il segno: ha imparato tante cose, si è molto affezionata ai pastori, ha faticato, ha superato la prova e ora ha più fiducia in se stessa e nelle sue capacità. Nadia è una delle protagoniste del progetto Pasturs, ideato dalla cooperativa Eliante: quaranta volontari che, nel corso di tutta l’estate, a turno, affiancheranno cinque pastori in altrettante baite della Bergamasca.

 

Allora Nadia, quando sei tornata?
Lunedì 27 giugno, intorno alle 13. È venuto a prendermi il mio fidanzato a Gandellino e sono arrivata a casa verso le 16. Volevo vedere la partita dell’Italia.

È stata dura una settimana senza tv e cellulare?
Assolutamente no, non mi sono venuti nemmeno in mente. La sera mi sedevo di fuori, sul gradino della baita, e davanti avevo uno spettacolo incantevole: l’Arera, il Brunone, la Presolana. Dietro la malga si vedeva il passo che collega la val Seriana con la valle Brembana. Pochi metri sotto il passo c’è il rifugio Calvi. Prendevo il cannocchiale e cercavo gli animali selvatici, controllavo le greggi degli altri pastori, chiacchieravo con Paolo, il pastore rumeno che da 12 anni lavora per Renato e Christian Balduzzi, i proprietari della baita e delle 1500 pecore dell’alpeggio.

 

Renato+Nadia+Christian

 

Cosa ti ha colpito maggiormente di questa esperienza?
La passione di questi uomini per il loro lavoro, per la montagna, gli animali. Sacrificano tutto per le pecore, anche la famiglia. Paolo vede sua moglie e i suoi figli due mesi all’anno, quando torna in Romania, Christian e Renato sono sempre in giro, passano da un alpeggio all’altro per controllare le greggi e per portare nelle baite ciò che serve ai loro collaboratori e agli animali. E poi mi ha colpito tanto la loro gentilezza, sembrano degli uomini di altri tempi, fanno di tutto per farti stare bene, per farti sentire a tuo agio. Mi hanno proprio coccolata. Mi chiamavano 2, 3 volte al giorno per sapere come stavo, se andava tutto bene o se avevo bisogno di qualcosa. Renato una volta mi ha chiesto se mi piaceva lo yogurt e io gli ho detto di sì. Il giorno dopo me ne ha portati 12.

Raccontaci la tua giornata tipo lassù.
Mi alzavo verso le 5.30 insieme a Paolo e a Eddy, un pastore amico dei Balduzzi che ha trascorso in baita qualche giorno. Facevamo colazione e loro andavano a far uscire le pecore dal recinto mentre io restavo un po’ in baita a sistemare, lavare i piatti, dare una pulita in giro; poi li raggiungevo. Impressionante il lavoro dei cani da raduno, si davano un sacco da fare.

E una volta liberate le pecore, cosa fanno i pastori?
Controllano. Curano gli animali che ne hanno bisogno, fanno le punture alle pecore con la tosse o la polmonite, malattia che ne ha colpite molte quest’anno, date le continue piogge e gli sbalzi di temperatura. Poi controllano gli agnelli, le pecore zoppe, limano le unghie di quelle che camminano male, controllano le recinzioni e i trasformatori. Si danno sempre un gran da fare.

A che ora rientravate in baita?
Verso le 20. Prima bisognava chiudere le pecore nel recinto. A cucinare ci pensava Paolo, che ama stare ai fornelli. Per loro facevano piatti rumeni, un po’ piccanti, mentre a me preparava piatti più classici: pasta, gnocchi, bistecche, spiedini cotti sulla stufa. Mi ha perfino cucinato le patatine fritte! Poco dopo la cena ce ne andavamo tutti a letto, stanchi morti.

 

paoloNadiaChristianEddy 079

 

Hai mai avuto un momento di sconforto, un attimo in cui ti sei detta “Chi me l’ha fatto fare”?
No, mai. Anche perché bastava guardarmi intorno, vedere dove mi trovavo, quanto belle erano le montagne che mi circondavano e potevo solo stare bene.

Qual era la tua preoccupazione maggiore?
Il loro pregiudizio. Non volevo pensassero che fossi la bionda cittadina che vuole solo fare un’esperienza particolare, volevo che capissero le mie intenzioni, il mio interesse e la voglia di darmi da fare, di imparare. Credo di averli piacevolmente sorpresi in questo senso, hanno visto che, pur con le mie forze limitate rispetto alle loro e con i miei tempi, non mi sono mai tirata indietro. Certo, ad esempio loro portavano tre blocchi di sale per le pecore e io ne portavo uno, mettendoci il doppio del tempo, però arrivavo alla meta, anche se distrutta.

Hai assistito alla nascita di qualche agnellino?
Da lontano. Le pecore fanno da sole, meglio non avvicinarsi in quei momenti. Il mio compito era quello di recuperare gli agnelli che restavano indietro. Loro sono piccoli, mangiano e poi si addormentano, perdendo il passo del gregge. Allora Paolo, che ha un occhio davvero esperto, senza guardare o sentendo solo il belato di una mamma pecora, mi diceva di andare a prendere il piccolo che era rimasto indietro, indicandomi anche in che direzione cercarlo. Ed infatti lo trovavo, lo prendevo in braccio e lo riportavo alla madre. Un agnello un giorno me l’ha fatta addosso due volte.

Dal punto di vista meteorologico tutto bene?
Una volta abbiamo preso la grandine mentre stavamo rientrando per il pranzo. Vedevo distintamente le saette nel cielo, c’erano dei tuoni fortissimi. E poi una notte ha diluviato, si sentiva un gran frastuono per la pioggia che batteva sul tetto di lamiera della malga.

 

Nadiabosco

 

I tuoi studi ti sono serviti in questa esperienza?
Mah, la pratica è molto diversa dalla teoria. Il mio è stato un approccio un po’ “scolastico”. Ad esempio, quando radunavamo le pecore Paolo le colpiva sulla parte posteriore con un bastone, senza far loro del male, per farle muovere. Io invece appoggiavo solo la punta del mio bastone sulla lana e lui rideva, perché il mio tocco le pecore non lo sentivano nemmeno. I pastori amano molto i loro animali e li rispettano forse più di noi, che invece li viziamo. Rispettano la loro natura di animali, mentre noi tendiamo ad antropizzarli.

Tornerai a trovare i pastori?
Certamente, mi sono molto affezionata a loro. E credo che anche loro si siano affezionati a me. Paolo era dispiaciuto quando sono partita, mi ha lasciato l’indirizzo di sua moglie e di suo cognato in Romania e mi ha detto di contattarlo in caso volessi andare a fare qualche ricerca su orsi e lupi, che in quella zona sono piuttosto diffusi. Non è difficile apprezzare una persona come lui, tant’è che quando ero in baita tutti i giorni passava qualcuno a salutarlo, tanti escursionisti che gli portavano magari del cioccolato. Passando tanto tempo in solitudine quando ha occasione di scambiare due parole con qualcuno è molto felice, quindi si è fatto apprezzare da tanta gente.

Non ti mancava la vita e il look da città?
No. Però una sera i pastori mi hanno chiesto se gli facevo vedere le mie fotografie sul cellulare. Hanno sgranato gli occhi e mi hanno domandato: «Ma sei la stessa persona?».

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