Con 48500 MiPiace

Il fenomeno Average Berghem Guy L'orgoglio orobico spopola su Fb

Il fenomeno Average Berghem Guy L'orgoglio orobico spopola su Fb
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«Pota a 'n sé de Bèrghem!». Un motto. Anzi, macché motto, un’affermazione perentoria che nasconde (ma poi neppure tanto) un orgoglio tipicamente orobico. Ma è anche lo slogan di Average Bèrghem Guy, la pagina Facebook umoristica e irriverente che vanta, ad oggi, la bellezza di 48.500 MiPiace raccolti in appena un anno e mezzo di vita e che vuole raccontare il “bergamasco medio”, con tutti i suoi pregi e i suoi difetti. Dietro tanta simpatia e un po’ di sana grettezza popolare, si nasconde l’esuberante ironia di tre ragazzi dell’Isola: Pietro Boschini, 19 anni e studente di Ingegneria matematica; Paolo Riva, 19 anni e studente di Chimica; Mainardo Locatelli, 20 anni e cameriere nell’agriturismo di famiglia.

 

Ma come vi è saltata in mente questa pagina?
«È nata un po’ per gioco, per fare un pesce d’aprile. Pensavamo che con una pagina Facebook avrebbe avuto molto più risalto».

Pensavate bene: avete 48mila e 500 MiPiace.
«Sì, ma mica ce li aspettavamo. La pagina è cresciuta da sola, forse perché si vede che per noi è un divertimento e che il nostro unico obiettivo è far ridere i fan».

Il bergamasco medio che descrivete esiste?
«Un po’ sì e un po’ no».

In che senso?
«L’ispirazione per le battute e le immagini ci viene da ciò che ci circonda, quindi dagli amici e dalla famiglia. Il padre di Pietro, ad esempio, è continua fonte di ispirazione. Regala perle meravigliose, soprattutto perché del tutto involontarie e inconsapevoli».

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Ma il vostro bergamasco medio è anche un po’ ignorantotto e gretto, no?
«Questo è perché vogliamo far ridere. Abbiamo creato una caricatura. Il bergamasco medio, in realtà, nasconde una genuinità d’animo, una forza che non c’è più».

E dove trovate queste qualità?
«Nei nostri genitori, nei nostri parenti, in tutte le vecchie generazioni. È gente che ha dato tutto, che ha lavorato tutta la vita per dare un futuro a noi. Gente semplice che però, come il padre di Pietro, in quella semplicità nasconde un'intelligenza vivissima e brillante. Quella, secondo noi, è l'essenza dell'essere bergamaschi: non mollare mai, essere umili, ma anche molto intelligenti».

E la vostra di generazione?
«Non c’entra niente con le precedenti. Lo ammettiamo, ci siamo imborghesiti un po’ forse».

Anche nell’Isola?
«Forse meno che in città, ma sì, anche nell’Isola, che non è proprio un posto bellissimo...».

Dite?
«Già. Ma è dai posti peggiori che arrivano le idee migliori».

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Ci fidiamo. Qual è il vostro pubblico di riferimento?
«Il fan tipo del bergamasco medio ha un’età compresa tra i 20 e i 35 anni, vive soprattutto nella provincia ed è uomo».

Forse perché, a volte, le vostre battute possono risultare maschiliste?
«Non è certo nostra intenzione. Il mondo che rappresentiamo, però, forse un po' lo è. Senza cattiveria, soltanto il retaggio di tradizioni che oggi non ci sono più ma sono rimaste nei modi di dire e nelle espressioni dialettali».

Quali sono i temi che preferite trattare?
«Ci interessiamo molto di edilizia, agricoltura e cucina».

Spiegatevi meglio.
«Parliamo spesso di muratori, contadini e polenta».

Roba da bergamasco medio.
«Per l’appunto. E infatti giochiamo molto anche sulla rivalità con Brescia e il Sud Italia».

Ma voi siete anche quello che rappresentate?
«Ma no, ci mancherebbe. Abbiamo anche amici bresciani o meridionali».

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Però, sotto sotto...
«Semplicemente siamo bergamaschi. C’è una definizione del carattere bergamasco che ci piace molto: “Caràter de la rassa bergamasca: fiàma de rar, sóta la sènder brasca”. Perché è vero: noi siamo un po' orsi, un po' rudi, ma se ci conosci bene siamo gente buona, pronta a dare tutto per gli altri».

Ed è questo che s'è perso un po'?
«Sì, forse anche perché si è perso un po' di legame con la nostra terra».

Tanto in città quanto in provincia?
«Sì. Però soprattutto in città. I “centrini” - nell'Isola li chiamiamo così i ragazzi di Bergamo - sono un altro degli obiettivi preferiti della nostra pagina infatti. Cioè, ma li vedete come vanno in giro? 'Sti risvoltini, 'ste scarpe dai colori improbabili... Sono la cosa più lontana possibile immaginabile dal bergamasco medio di cui noi, invece, narriamo le gesta».

Tutto questo successo vi ha portato anche occasioni commerciali?
«Qualcuno ci ha contattati per provare a fare del merchandising, ma non se n’è fatto niente. Non è quella la strada che ci interessa e, secondo noi, non interessa nemmeno a chi ci segue».

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Però attorno a voi, alla vostra ironia, s’è creata una vera e propria comunità.
«Sì, è vero. Abbiamo anche creato un gruppo Facebook, “Pota land”, dove gli iscritti possono suggerirci battute, spunti, idee».

Lo fanno anche i vostri amici?
«All’inizio non sapevano che dietro la pagina ci fossimo noi. Lo abbiamo tenuto segreto. Quando però il numero di “Mi piace” è iniziato a salire abbiamo deciso di prenderci un po’ di meriti. E loro hanno deciso di partecipare consigliandoci nuove battute».

Il grande successo lo avete raggiunto inventando proposte ironiche che i media, poi, prendevano sul serio.
«È vero. Un aneddoto: quando avevamo creato l’evento “Bergamaschi contro Bresciani a Ciao Darwin”, ci chiamò il Vava. Ci disse che lo aveva contattato il Corriere della Sera nazionale per sapere chi c’era dietro a quell’iniziativa e se era una cosa seria. Era molto divertito dalla cosa».

Il Vava è un vostro modello di riferimento?
«Ci fa ridere, ci piace. Da ragazzini impazzivamo per il Bepi. Ma non dimentichiamoci di Luciano Ravasio, forse meno mediatico ma grande cultore della “bergamaschità” e conoscitore delle nostre tradizioni».

Loro sono cantanti, voi invece vi divertire a prendere in giro un po’ tutti.
«Diciamo che ci piace spararle grosse. Del resto lo ha fatto anche Trump ed è finito alla Casa Bianca. Non possiamo forse farlo anche noi?».

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