Il NYT innamorato di Bergamo (e l'articolo è di un premio Pulitzer)
Il New York Times ha pubblicato ieri un articolo su Bergamo. Si intitola In the June Light of Northern Italy, the Bliss of Bergamo (Nella luce di giugno del Nord Italia, la beatitudine di Bergamo) ed è il primo di una serie di pezzi d’autore, dedicati a vacanze estive che hanno cambiato la concezione del viaggiare di alcuni scrittori, o perfino la concezione di loro stessi. A raccontare la città orobica è stata Jane Smiley, scrittrice americana vincitrice nel 1992 del Premio Pulitzer per la narrativa con A Thousand Acres. Ecco come Bergamo le è rimasta nel cuore. È interessante perché racconta la nostra città da un punto di vista insolito, sottolineando aspetti che spesso noi diamo per scontati o comunque non riteniamo particolarmente caratteristici di Bergamo. Un bel modo per riscoprire la bellezza dei nostri luoghi.
Impossibile andar via. «Quando abbiamo deciso di andare a Bergamo, avevamo intenzione di rimanere solo per un giorno o due; sarebbe stata una parte di un mini-tour nel nord Italia, che prevedeva poi una visita ad amici sul Lago di Como. Ma una volta arrivati lì, non abbiamo potuto lasciarla. È stata una lezione: eravamo impreparati, avevamo comprato la guida turistica ma non l’avevamo letta, abbiamo scoperto per conto nostro quello che milioni di persone avevano scoperto prima di noi. Bergamo si trova esattamente dove la lussureggiante Pianura Padana incontra le Alpi. Il nostro hotel era in Città Alta, la città fortificata delle origini, che si affaccia su una profonda valle piena di alberi da frutto, verde e prati fioriti che beneficiano di 45 pollici di pioggia all’anno, circa 30 in più della Carmel Valley in California, dove viviamo. La luce di giugno era fresca e trasparente, le piante e gli alberi mi stupivano, mentre ci passavamo a fianco; meli, pieni di piccoli frutti, radicati su una collina così ripida che proprio faticavo a immaginare il momento del raccolto. E poi malvarose alte fino a 16 piedi, che si inerpicavano sul muro di pietra che costeggiava la strada, partendo da un giardino fiorito, con accanto un orto pieno di lattuga, piselli e spinaci».
I fiori e i panorami. «La prima sera abbiamo percorso una strada scavata nella collina verso il Pianone, un ristorante che fonde cucina toscana e bergamasca. Ci siamo tornati tutte e sei le sere; il cibo era delizioso e la cantina impressionante. Ma quel che ricordo meglio sono i giardini intorno: pieni di petunie, gerani e arbusti fioriti. Un viale decorato con vasi di rose conduceva al giardino posteriore, con vista sulle cime lontane, che spiccavano sopra l’ampia valle, le strade e la città. Ogni mattina camminavamo dall’albergo fino al Giardino Botanico, salendo la collina per poi ridiscendere e rientrare in Città Alta da Porta Sant’Alessandro. Ci sono altre tre porte, la più grande è Porta San Giacomo, costruita interamente in marmo. Bergamo Alta potrebbe essere la città murata meglio conservata dell’intera Europa».
Il passato e l’oggi. «Il sito è abitato da migliaia di anni: prima dai Celti, poi dai Romani che gli hanno dato il nome di Bergomum. […] Una città murata può anche essere pericolosa: nel 19esimo secolo ci fu un’epidemia di colera, ma invece di abbattere le mura, la città è stata ricostruita giù dalla collina, quella che oggi è Città Bassa, una città moderna, commerciale e industriale, piena di negozi, automobili, ristoranti, viali e alberi. Infatti, il centro commerciale Oriocenter vicino all’aeroporto di Bergamo è il più grande d’Italia. Comunque la Città Alta fu lasciata più o meno intatta, collegata bene o male a tutti i campi e le fattorie del territorio circostante, in un modo che non ho mai visto altrove. Gli edifici della Cittadella sono stati ristrutturati, ma non credo rifatti da zero. I negozi sono piccoli, affascinanti e di proprietari individuali. Ne ho adorati due in particolare: in uno, di cui non ricordo il nome, ho comprato un abito di lino prodotto localmente; l’altro si chiamava Lavanda di Venzone ed era completamente dedicato alla lavanda, con lozioni, saponi, profumi e piccole bambole fatte con sacchetti pieni di questi fiori profumati».
L’arte e la musica. «Come ogni città italiana, Bergamo ha musei, chiese, piazze e strade strette e misteriose. C’è la Basilica di Santa Maria Maggiore, costruita nel 1137; e poi Bergamo ha dato i natali a Gaetano Donizetti, il compositore di Chi mi frena in tal momento, il sestetto da Lucia di Lammermoor, forse il mio pezzo preferito di musica classica. C’è un festival dedicato a lui ma in autunno, non quando siamo andati noi. Ci sono molti altri posti da vedere: l'Accademia Carrara era chiusa quando ci siamo stati noi, ma molti dei suoi dipinti erano in mostra al Palazzo della Ragione. Penso che il mio luogo preferito sia stato il Museo Storico di Bergamo, situato nella Rocca, originariamente un castello fortificato che vigila sulla Città Bassa e sulla valle a sud-est. Il nostro museo preferito della Città Bassa è stata la GAMeC, che sembra un edificio moderno, ma era in origine un convento del 15esimo secolo, e ha una collezione ampia e variegata».
In montagna. «Città Alta è il luogo perfetto per passeggiare a piedi, dal momento che le strade sono molto strette; c’era sempre qualcosa dietro a ogni angolo, del cibo meraviglioso, una vista suggestiva o un negozio delizioso. Ciononostante, siamo anche andati in montagna, un pomeriggio; a San Pellegrino Terme, a circa 14 miglia di distanza, ma lontano nel tempo, di almeno un secolo. La strada si snodava seguendo il corso dello spumeggiante fiume Brembo, tra verde primaverile e ripide montagne. Queste ricordano ai turisti che qui la penisola italiana si è scontrata contro il continente europeo. Lo stabilimento di imbottigliamento della San Pellegrino è fuori dal paese; cinque minuti dopo abbiamo capito il perché, vedendo il Grand Hotel dei tempi in cui San Pellegrino era un centro termale alla moda».
Un incanto. «Nonostante la storia antica e a volte tragica, Bergamo non trasmetteva mai senso di perdita o tragicità. Tutte le piazze, i negozi, i musei, i ristoranti e le pasticcerie erano vivaci e amichevoli, i giardini fertili e curati. L’erba e la brezza, il vociare delle persone che salutavano gli amici oppure ordinavano antipasti, i fiori e il canto degli uccellini ci hanno incantati. E poi la luce del tramonto, alle 9 di sera, quella luce fredda di giugno che sta per svanire, ma sembra invece non finire mai».