L'arenaria, preziosa pietra orobica
Foto Pietre originali della Bergamasca
È ormai risaputo di come la Camera di Commercio di Bergamo abbia istituito il marchio di origine delle pietre orobiche, che garantisce la provenienza geografica dei materiali lapidei ad uso ornamentale estratti nella provincia di Bergamo. Alla base di questo iter c'è anche la volontà di valorizzare e promuovere il nostro prodotto lapideo. È indubbio che, oltre al fattore economico, la pietra locale racchiuda tradizioni e cultura, che è giusto raccontare. Il marchio vuole dunque far conoscere al pubblico e fornire agli addetti ai lavori uno strumento utile, che nel disciplinare di produzione strutturato in sei articoli possono trovare informazioni geologiche e tecniche, volte a mostrare le proprietà e l’applicabilità del materiale nei vari contesti edilizi.
Le pietre che si fregiano di questo marchio ad oggi sono:
- Arabescato Orobico di Camerata Cornello
- Arenaria di Sarnico
- Ceppi di Gré e di Poltragno
- Marmo di Zandobbio
- Pietra Cote
- Pietra di Berbenno
- Pietra di Credaro
- Porfiroide grigio di Branzi
- Porfiroide scuro di Valleve
Si è già parlato qui dell’Arabescato, quindi procederemo il nostro percorso seguendo sempre l’ordine alfabetico.
Diffusione a Bergamo e impieghi. L'arenaria di Sarnico è una delle pietre più conosciute e utilizzate dai tempi antichi in tutta la provincia di Bergamo: ancora oggi la riconosciamo ad occhio nudo in tantissimi manufatti che ci circondano, dalle colonne di portici e logge fino alle statue appollaiate su facciate e campanili di chiese, dalle decorazioni plastiche di edifici pubblici e residenziali quasi millenari alle murature di fortilizi o di broli e giardini: pilastri e colonne, stipiti di portali e spallette per le finestre, porticati e cortili o archi e chiavi di volta, stemmi ed epigrafi. Elementi questi non secondari, ma che contraddistinguono l‘architettura rinascimentale lombarda, nell’abbinamento tra l’arenaria e il calcare bianco o il laterizio a seconda di dove geograficamente questi sorgano.
L’impiego è stato notevole nella città di Bergamo soprattutto nel Medioevo: ad esempio per le chiese di Santa Maria Maggiore e di Sant’Agostino, per il Palazzo della Ragione e la Torre del Gombito, per il rivestimento del piano terreno dell’Accademia Carrara. Molti storici sostengono che il suo utilizzo nei nostri territori risalga al Trecento, durante le lotte di fazione tra Guelfi e Ghibellini, quando incombeva la necessità di realizzare frequentemente case e manufatti in pietra, al fine di difendersi dai reciproci attacchi armati. Vista la sua diffusione è utile credere che il suo impiego sia ben più antico, complice la sua facile lavorabilità, la possibilità di recuperarla in grandi affioramenti, tali da ottenere manufatti importanti per dimensioni e per gusto estetico, che la rendeva versatile sia per impieghi massicci sia per quelli più delicati. È una pietra molto tenera che si presta a ogni tipo di lavorazione ed è questo uno dei motivi per apprezzarla, oltre al suo essere omogenea, alla colorazione variabile nei toni tra il grigio e il grigio azzurro, che la rende elegante e austera allo stesso tempo.
Ubicazione e trasporto nei secoli. La pietra affiora lungo la fascia di raccordo tra le Prealpi e la Pianura Padana e nel nostro territorio la troviamo dalle propaggini più settentrionali dei colli di Bergamo fino al lago d’Iseo: per questo motivo molte volte la si indica anche come “pietra arenaria di Castagneta”. La sua diffusione dalle valli alla pianura venne facilitata dalla presenza dei corsi d’acqua navigabili: dalla fine del Quattrocento al secolo scorso i manufatti sbozzati o già lavorati venivano imbarcati dai porti di Sarnico, Paratico e Capriolo. Nell’Ottocento il trasporto della pietra dalla cava al porto o alla ferrovia avveniva con un carro capace fino a trenta quintali di pietra, ma con la realizzazione della linea ferroviaria Paratico-Palazzolo sull’Oglio nel 1875 e lo sviluppo di nuovi mezzi di trasporto e di vie di comunicazione, si è potuto rispondere anche alle commesse fuori la provincia di Bergamo: dalla Valtrompia nel bresciano all’Isola d’Elba e Piombino, da Milano e Genova a Napoli per industrie e cimiteri, dalle chiese dell’Appennino marchigiano-parmense e tosco-emiliano fino al riallestimento degli argini del fiume Po, crollati durante l’alluvione del Polesine nel 1952.
Cave e operai. L'unica cava rimasta si trova in comune di Gandosso, in località Riviera, in Val Calepio a pochi chilometri da Sarnico: un vero peccato se si pensa che dall’Ottocento agli anni Sessanta del Novecento erano sette le cave sul monte delle Molere, in cui han lavorato molti operai e manovali provenienti da Sarnico e dai paesi limitrofi. Nell’Ottocento erano impiegati costantemente da 170 a 300 lavoratori (segatori, scalpellini, cavatori e lisciatori), con una stima di diecimila metri cubi di arenaria lavorati ogni anno dalle sole cave di Sarnico e di Paratico, all’inizio del nuovo secolo addirittura 400, mentre cinquant’anni dopo scende a soli 30-40 uomini. I fattori di questo tracollo sono molteplici, tra cui l’affermazione di marmi italiani più richiesti e di altri materiali meno costosi e di più facile produzione e trasporto.
Origine e caratteristiche. «L’arenaria di Sarnico, riferita al Coniaciano (Cretacico), appartiene alle rocce cosiddette sedimentarie clastiche, più precisamente alla classe delle areniti coerenti, formatesi dall’accumulo di sedimenti di varia origine derivati dallo smantellamento di rocce preesistenti. A questa fase sono seguite la compattazione del sedimento e la cementazione, cioè il formarsi di un legante naturale tra i granuli depositati. Questo ha condotto alla litificazione del sedimento e dunque alla formazione del materiale “roccia”, con aspetto caratterizzato da una colorazione variabile dal grigio al giallo al verde. Le rocce risultanti dalla deposizione di materiale detritico fine sabbioso (definite arenarie) si compongono di una polvere quarzifera indurita da silice e argilla; i granuli cementati possono essere rotondeggianti e levigati, ma più spesso a spigoli vivi». Nella provincia bergamasca, questa pietra affiora nella piana di Pontida, a Mapello, presso Paladina e lungo l’alveo del Brembo a Gromlongo, sui colli di Bergamo a Castagneta e nel bacino del Guerna presso Adrara fino a raggiungere Sarnico. I colori prevalenti sono due: blu-grigio e marroncino Chiaro, anche se storicamente il cromatismo maggiormente ricercato e apprezzato per gli effetti ottici era la varietà “turchina” o “turchiniccia”, caratterizzata da un’uniformità di colorazione che tende al grigio, grigio azzurro e richiama le arenarie toscane (pietra Forte e pietra Simona). È poi riconosciuta una varietà secondaria e poco ricercata che in gergo locale viene nominata col termine “berettina”, la cui etimologia richiama una roccia dai toni caldi giallo-ocra.
Mantenimento. La larghissima diffusione della pietra in tutta la provincia, riscontrabile in quasi tutti gli edifici storici importanti, ne determina l’impiego odierno anche se del tutto marginale, legato pero solo ad interventi di restauro: infatti il favore che ha incontrato l’arenaria di Sarnico nei secoli passati non è spiegabile solo con la diffusione geografica e la facile reperibilità locale del materiale, ma è probabilmente dovuta a molteplici fattori legati a caratteristiche del tutto peculiari di una pietra a tutti gli effetti ornamentale. La struttura, infatti, è clastica o granulare, con grana che varia da molto fine a fine e proprio per questo è soggetta a continua usura, causata dal ristagno dell'acqua e dal gelo, che la sfogliano in strati continui, fino a disgregarla e polverizzarla senza pietà. E noi ne siamo costantemente testimoni.