Come una casa di una volta

Locanda Roncaglia a Corna Imagna Perché il passato non vada perduto

Locanda Roncaglia a Corna Imagna Perché il passato non vada perduto
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La strada sale sempre più in alto inoltrandosi nella Valle, lasciandosi alle spalle il paese di Corna Imagna, fino a uno spiazzo con attorno un borgo aggraziato, la cui pietra più antica risale al Medioevo. Qui, in mezzo ai boschi di castagno, si trova un luogo che ha fondato la sua identità sulla secolare cultura rurale. Uno spiazzo verdissimo che si adagia tra le case, e che appare così, a sorpresa, tra le viuzze. In fondo al prato, incorniciato da un arco di pietra si apre, meraviglioso uno scorcio della vallata. Siamo all’Antica Locanda Roncaglia, roccaforte di sapori perduti.

Sara, Roberto e un progetto. Sara Gandolfi, la padrona di casa, fa accomodare gli avventori alla sedia del grande tavolo di legno vicino alla finestra, offre loro un bicchiere di vino e inizia a raccontare dei riti e dei gesti antichi che scandiscono la giornata alla locanda. Su retro, nella cucina, Roberto Facchinetti, il cuoco, inizia a preparare la cena per gli ospiti. Le loro parole accompagnano dentro a un progetto molto più grande - di cui la locanda è solo una parte - fortemente voluto dal Centro Studi Valle Imagna per contrastare la disgregazione dell’identità territoriale. Così, dal luglio 2013, da quando Sara e Roberto sono gestori di questo ristoro, oltre all’apertura dell’osteria ottocentesca con alcune camere al piano superiore, hanno curato il ripristino di un antico affumicatoio per castagne, anticamente uno dei punti centrali dell’economia valligiana e che oggi, ogni tanto, viene ancora usato.

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Come una casa di una volta. Il tempo qui è immobile, e la sensazione è quella di essere finalmente a tal punto distanti dalla civiltà, dalla vita frenetica e dalle occupazioni quotidiane da potersene quietamente dimenticare. Passato l’ingresso discreto che si affaccia su un angolo della corte, si ha l’impressione – inconfutabile e accogliente - di entrare in una casa. Da una parte la dispensa, dall’altra la sala da pranzo con lo splendido pavimento in cotto, le pareti in pietra e il soffitto in legno di castagno. L’odore è proprio quello delle case di montagna: tutto ha una dimensione domestica e mai artificiale, gli stessi tavoli, le sedie e i mobili sono stati ricavanti da arredi originali e contribuiscono, con le loro linee asciutte, a creare l’atmosfera di un tempo passato.

Dalla terra e dalla storia. In fondo al prato, incorniciato da un arco di pietra si apre, meraviglioso uno scorcio della vallata.Tutto o quasi viene dalla Valle, dalle sue economie, dalle sue storie e tradizioni. La cucina è per scelta davvero territoriale, dialoga con gli abitanti, con i contadini e i produttori a seconda dei ritmi della stagioni e della natura. La cantina raccoglie i formaggi di queste montagne, veri tesori della valle, ma anche i salumi e tutti gli ingredienti sono frutto della fatica della terra. «Ogni tanto pratichiamo ancora il baratto», racconta Sara, sorridendo,  «come si è fatto per secoli».

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Ritrovare la tavola degli avi orobici è la filosofia della cucina, per riproporre alcuni dei piatti che hanno fatto la storia della tradizione bergamasca: il coniglio, la gallina e poi - ovviamente - la polenta in tutte le sue varianti. Chi si ricorda, o chi ha mai assaggiato, la pult (una polentina di farina di mais e latte consumata, tradizionalmente, per cena)? Così, la cucina è un museo vivente dove raccogliere e ricostruire la memoria collettiva della comunità. Decisamente molto di più della semplicistica moda del ritorno alle origini.

Una vita fa. La forza di questo luogo è la straordinaria capacità di accogliere. Un angolo così piacevole che te ne accorgi davvero solo quando lo devi lasciare, per tornare a casa. Quasi viene voglia di fermarsi a dormire in una delle camere, per potersi trattenere ancora qualche ora. Ci si copre un po’, perché in montagna, la sera, fa freddo anche d’estate, si taglia un’altra fetta di salame, si ordina un calice di vino in più e si fa qualche chiacchiera con l’oste. Poi, prima di coricarsi, qualche istante nel prato. In cielo le stelle brillano di una luce sconosciuta agli abitanti della città e tutto intorno è il silenzio dei boschi. Un’altra vita. Una vita fa.

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