In Borgo Santa Caterina

Metti un piatto da Cantierecucina L'amatriciana secondo Matteo

Metti un piatto da Cantierecucina L'amatriciana secondo Matteo
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Foto ©BergamoPost/Devid Rotasperti.

 

Succede sempre così, quando uno è bravo si fa riconoscere. È quello che è successo a Matteo Falgari, una volta architetto e oggi cuoco schietto di Cantierecucina. È successo che un giorno ha voluto cambiare vita e mettersi in gioco dietro i fornelli, completamente autodidatta. Il risultato è un piccolo rifugio sicuro per chi voglia mangiare bene e senza troppi fronzoli in Borgo Santa Caterina. La lavagna parla chiaro: pochi piatti, economici ma non banali. Alcuni sono ormai noti, come i Gamberoni ubriachi sfumati nel brandy o gli Gnocchi zola pistacchi e arancio.

 

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L'Amatriciana secondo me. Ma tra i classici che definiscono in pieno il profilo del localino c’è L’amatriciana secondo me. Più che un piatto una provocazione. Matteo lo ammette candidamente: di vera e propria amatriciana non si può parlare, anche se è nata proprio ripensando e scomponendo questo grande classico. Addirittura il guanciale, base apparentemente indispensabile, è stato sostituito. La spiegazione è semplice: il guanciale non è un prodotto tradizionale bergamasco, e sicuramente è poco frequentato dalle pregiate macellerie orobiche. Partendo da questo presupposto, è arrivata l’idea di ripensare le fondamenta sfruttando un prodotto che si avvicinasse un po’ di più a un gusto, diciamo, nordico: lo speck.

 

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La variante speck e il sugo ad hoc. La prima versione di questo piatto è del 6 novembre 2012, giorno dell’apertura, e da allora, grazie al successo popolare che ha incontrato, non ha mai lasciato la lavagna che dalla parete del locale racconta le sue proposte. Il segreto sta nella due consistenze: spessore e croccantezza. La preparazione prevede che l’affettato venga frullato completamente e aggiunto poi in una salsa di pomodoro preparata ad hoc. Una buona salsa di pomodoro. Il risultato è una perfetta compenetrazione di sapori e un giusto equilibrio tra sapidità e dolcezza. Questa particolare tecnica permette al condimento di diventare più corposo e conferisce al sapore un spessore più importante, pronto per abbracciare la nuda pasta. Lo speck ritorna poi per diventare croccante. Tagliato finemente è passato nel forno per concentrare zuccheri e sali e infine sbriciolato sopra il nido di pasta per concederle un’ulteriore spinta di sapore.

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Il perché delle linguine e dell'assenza di pecorino. Ma veniamo alla pasta in sé: qui la discussione scivola nella teoria. Perché le linguine rispetto a una pasta corta? La linguina è la sintesi ideale, raccoglie il sugo senza avere in bocca la prepotenza della tagliatella, senza volere essere a tutti i costi una prima donna. È più un’accompagnatrice che indirizza il condimento senza sovrastarlo. Anche se, a essere sinceri, la sua prima giustificazione è il faccione di Alberto Sordi che guarda affamato il piatto minacciandolo: «Maccherone, m’hai provocato e io te distruggo!». Un pilastro dell’italianità a tavola. E il pecorino? Non ci va, anzi non ci va proprio il formaggio. Il gusto, assicura Matteo, è corretto così come viene portato nel piatto. Insomma, il cuoco ha le idee molto chiare.

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Il senso e la teoria. E non si lascia trovare impreparato quando si approfondisce il discorso di sapori ed equilibri. Lui dice che è un’attitudine che si è costruito negli anni, dapprima con le prime frequentazioni di ristoranti, dallo stellato alla trattoria, e poi con la grande passione del vino che costringe il palato a rimanere concentrato su quello che succede in bocca. Sicuramente è vero, ma possiamo aggiungere che c’è qualcosa di innato in questa straordinaria attenzione. Una riflessione che svela una capacità teorica degna dei grandi palati, predisposti non solo ad apprezzare ma anche a capire. E fortunatamente per noi Matteo ha deciso di passare dalla tavola ai fornelli, e un’Amatriciana secondo me, senza tutto questo, non sarebbe mai stata giustificata!

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