Goat, Giovo Dust e KG Pelliz One

I ragazzi del rap in Piazza Dante

I ragazzi del rap in Piazza Dante
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«Alla fine il rap è molto joyciano: è un flusso di coscienza, a volte autobiografico, a volte impegnato socialmente, a volte frivolo. Non sempre ha un filo logico. Ma nemmeno la nostra coscienza ne segue uno». Tra Braulio (tanto) ed excursus su Maurizio Mosca («Non sapevamo fosse morto!»), abbiamo parlato dello “stupido gioco del rap” con la Spin That Shit Click, una crew (grosso modo l’equivalente hip hop di una band) che da ormai quattro anni gira nelle nostre piazze e nei nostri club. Giradischi e microfono, come una volta. Perché il rap oggi è (anche) un genere di consumo, ma non perde il contatto con le sue origini («Nasce dai ragazzi dei ghetti americani neri che trovavano i vinili dei genitori, li campionavano e ci rappavano e ballavano sopra»).

La crew. Con queste intenzioni, Giovo Dust, KG Pelliz One, Dokill, JBR, Plus e Goat iniziano a ritrovarsi due volte al mese in Piazza Dante per fare delle Jam, che con gli anni hanno iniziato ad attirare sempre più affezionati, ma che oggi non si fanno più: «Era tutto abusivo: noi usavamo le casse, ma non si può. Vorremmo ricominciare, ma facendo le cose in regola, per questo ci piacerebbe aprire un tavolo con il Comune per formalizzare la cosa». La crew però è ancora salda, coesa, viva e vegeta: ora gira per i locali, poco importa che siano i centri sociali come il Pacì Paciana, i club o gli spazi del Comune come Edoné e Polaresco. Unico imperativo: mente aperta. Niente lotte di supremazia tra vecchia e nuova scuola hip hop, niente purismi inutili: «Se la musica è fatta bene, con il cuore, allora va bene. Non c’è altro discorso che tenga. E se qualcuno riesce a rappare ed entrare nel giro del mainstream (purché faccia buona musica), siamo i primi a tifarlo».

 

 

Il rap è arte. La Spin That Shit Click ci dà un’immagine diversa del rap. I rapper sono come gli ultrà: spesso si pensa a loro come a dei “cattivi ragazzi”, perdigiorno poco raccomandabili, senza valori. Ma non c’è niente di più sbagliato. Il rap nasce, cresce e vive nelle strade, spesso da un disagio esistenziale, e non ne è la causa ma la cura, la soluzione, la valvola di sfogo. E cos’è l’arte se non un immenso catalizzatore di gioie e disagi, di emozioni e apatie, di storie e di immagini? E allora parliamo pure di loro come di “disagiati”, ma ricordandoci che non c’è nulla che sia più nobile di un disagio trasformato in dignità artistica. Senza dimenticarsi che, oltretutto, il rap è lo “stare insieme” per eccellenza.

Il rap per il bene. Da questi presupposti si può capire il motivo per cui due ragazzi della Spin (Giovo Dust e Goat) collaborino con la comunità Capo Horn della cooperativa FaMille, in via San Bernardino: «Sono ragazzi, italiani e stranieri, che sono affidati a delle comunità perché per svariati motivi non possono stare con i genitori. Lì si trovano bene, ma non hanno grandi libertà. Portare il rap tra loro è un modo per farli stare insieme, stimolarli e aiutarli a tirare fuori tutte le emozioni. E funziona».

 

 

L'approdo su Youtube. Finora i ragazzi hanno preferito fare la gavetta, costruirsi un seguito fedele e affezionato con un’intensa attività live in piazze e locali, ma adesso è tempo di mettere tutto su nastro: KG Pelliz One ha appena pubblicato su YouTube il suo singolo, Stabile, primo di una serie di video che usciranno una volta al mese. Un video al mese anche per Giovo Dust, un mixtape all’attivo per Goat, diversi video già online per JBR, Dokill e Plus.

E il Comune? Da un lato molto bene: da un paio d’anni organizza, in collaborazione con Edoné e Hg80, la Bergamo Flow Competition, «il Nuovo Suoni Live dell’hip hop», dall’altra però si potrebbe fare di più. L’appello è uno e unanime: «Perché non rendere Bergamo al passo con i tempi, creando un progetto più strutturato ed investendo sull’hip hop e sui luoghi simbolo di questa cultura, sempre più popolare, come Piazza Dante?». Dello stesso avviso è Sehi, 18 anni, talentuoso beatmaker bergamasco con cui i ragazzi della Spin collaborano da ormai un anno. Sono sue le basi su cui scorrono le rime degli altri membri della crew. Sehi spiega che anche lui, come tanti, ha iniziato in cameretta, guardando i video della new school, fino a quando quelli della Spin gli hanno fatto scoprire il mondo degli studi di registrazione e dell’hip hop nelle strade. Di loro dice: «Sono fondamentali per la scena hip hop bergamasca: senza di loro sarebbe un gregge allo sbaraglio, loro fanno da tramite tra noi e le istituzioni». Diverse canzoni prodotte da lui circolano già da tempo sul web, e insiste sul potenziale dell’hip hop come collante sociale: «Per questo il Comune fa bene quando promuove iniziative come il Bergamo Flow Competition: non solo perché lo chiediamo noi, ma perchè l’hip hop rappresenta per tantissimi ragazzi la soluzione a problemi, come dimostra la comunità FaMille, e per dare un segnale a chi ancora pensa che chi fa hip hop è per forza un delinquente o un emarginato».

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