arte e storia

Sapete che il cuore di Città Alta è quasi tutto made in Switzerland?

Sapete che il cuore di Città Alta è quasi tutto made in Switzerland?
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Nessun’altra città italiana è altrettanto legata alla Svizzera quanto Bergamo: in piena Controriforma, verso la fine del 1500, Bergamo, certamente molto più tollerante di Milano allora sotto la dominazione spagnola, era naturalmente designata ad accogliere i protestanti che i cantoni cattolici mal tolleravano. I rapporti fra la Svizzera e Bergamo quindi risalgono a quasi cinquecento anni fa, quando i mercanti esuli a causa del loro credo religioso (gli Orelli, i Von Muralt, i Ronco e altri) introdussero in Bergamo le prime manifatture della seta. Se gli svizzeri sono stati protagonisti nella Bergamo economico-industriale, i Ticinesi, in particolare, lo sono stati nel campo dell’arte, dapprima come costruttori nella edificazione della Basilica di Santa Maria Maggiore (XIV secolo).

In seguito l’interno della chiesa fu disegnato dai Sala, di Lugano. L’interno della Basilica infatti conserva l’impianto romanico a croce greca, ma la decorazione ha subito notevoli modifiche nel XVII secolo secondo lo stile barocco grazie alla perizia appunto degli stuccatori Giovanni Angelo Sala e del figlio Gerolamo (attivi anche nelle sagrestie di Alzano Lombardo). Non dimentichiamo poi i protagonisti nella scultura con i Lombardo di Carona (la Carona svizzera), che lavorarono all’interno della Cappella Colleoni, come Grazioso Rusca di Rancate o Muzio Camuzio di Montagnola o i Manni di Rovio, noti in Bergamo e nella Bergamasca come costruttori di altari in marm o. Ma le testimonianze ticinesi senza dubbio più abbondanti, in termini di evidenze sia monumentali che documentarie, riguardano i magistri de Campilione, e in particolare Giovanni da Campione. Giovanni in due epigrafi si dichiara figlio di Ugo de Campleono, sarebbe succeduto al padre nella direzione del cantiere, e così a lui si affiancheranno più tardi i figli Nicolino e Cristoforo. Giovanni è attivo già dagli Anni Quaranta per la basilica, e con un’opera importante come il Battistero.

 

 

Il Battistero. In asse con la facciata della cattedrale e quasi a ridosso della Cappella Colleoni, il Battistero si mostra frutto di un rimontaggio “in stile”, tappa finale di alterne vicissitudini che ne avevano visto nel 1660 la rimozione dall’interno di Santa Maria Maggiore, dove era collocato nella campata occidentale della navata maggiore. Il complesso venne rimosso dalla sede originaria in quanto giudicato ormai inutile e per di più in contrasto con la nuova sontuosa decorazione seicentesca a stucco. Ci fu un primo montaggio di alcuni pezzi in una apposita cappella in Duomo (1691) e poi dell’intera struttura, ricostituita con aggiunte e rifacimenti, nel cortile della Canonica (1856-1898), fino alla presente sistemazione nel 1898-1899.

In una tale convulsa vicenda l’integrità della realizzazione di Giovanni da Campione è certo venuta meno, e ancora dubbi restano su quanto di originario sia possibile rintracciare nel complesso così come ci è pervenuto. Certamente è di nuova realizzazione, pur riprendendo il sistema originario, l’intera copertura piramidale in marmo, con le ricche cornici e le quattro statue, così come l’intera struttura ottagonale rivestita di conci in marmo e pietra di Verona a fasce alterne. Elemento di stretta connessione tra componenti strutturali e scultoree, dato saliente delle competenze professionali dei magistri da Campione, sono gli otto pilastrini angolari esterni, collocati alla quota delle colonnine, che rappresentano una fortunata “invenzione” del cantiere campionese di Bergamo. Nel sottile fusto a profilo angolato in pietra di Verona sono ricavate profonde nicchie entro le quali si incastrano le figure assai allungate delle Virtù. Anche i bassorilievi che ornano le pareti interne del Battistero con scene della Vita di Gesù, sono opera di Giovanni da Campione.

 

 

L’intervallo di tempo tra il Battistero – la cui datazione al 1340 non va necessariamente riferita al completamento dell’opera – e gli altri interventi di Giovanni a Santa Maria Maggiore, che si documentano a partire dal 1351, dimostra il sussistere di una continuità di rapporto tra la Fabbrica del Battistero e quella di Santa Maria Maggiore. Vediamo quindi Giovanni da Campione attivo in posizione dominante sul cantiere per quasi tre decenni, fino ai tardi Anni Sessanta, sempre più progettista e supervisore dei lavori e sempre meno realizzatore diretto delle opere scultoree.

Santa Maria Maggiore. La Basilica di Santa Maria Maggiore è l’edificio sacro che, più d’ogni altro, i padri della Chiesa vollero fosse come una Biblia Pauperum, una Bibbia dei poveri, un luogo in cui, chiunque, potesse comprendere attraverso l’arte il significato della parola di Dio, i contenuti spirituali della letteratura sacra. La storia racconta che, nel 1133, una forte siccità colpì le terre bergamasche e che a questa seguì una carestia e la peste. La popolazione di Bergamo, stremata, invocò l’aiuto della Vergine Maria e promise la costruzione di una bellissima chiesa in segno di ringraziamento.

 

 

Nel 1137 fu posata la prima pietra della Basilica di Santa Maria Maggiore. Ma la chiesa risulta esistente già nell’VIII secolo. La pianta originale era a croce greca con sette absidi, tre centrali e quattro sul transetto, delle quali ne rimangono tre: l’abside di nord-ovest fu fatta abbattere nel 1472 da Bartolomeo Colleoni per far posto al suo mausoleo. I lavori subirono un rallentamento durante il 1200 a causa di difficoltà economiche. Nel corso del XIV e XV secolo i lavori furono ripresi dai maestri campionesi, con l’aggiunta appunto del Battistero. È ormai assodato che le più impegnative realizzazioni nel cantiere di Santa Maria Maggiore per larga parte del XIV secolo abbiano visto Giovanni come referente privilegiato, sorta di “impresario della attiva maestranza di muratori e scalpellini campionesi e bergamaschi”.

La porta dei leoni rossi. Intorno alla metà del Trecento maturò la necessità di dare alla fronte settentrionale della Basilica, sprovvista di accesso a occidente, l’aspetto sontuoso di una facciata. Un’iscrizione, assai nota, riportante la data del 1351 incisa sul lato interno della mensola di sinistra del protiro, riferisce in modo chiaro le coordinate cronologiche e la paternità del complesso portale-protiro: M°. CCC°. LI. magist(e)r. Iohanes. de. Campleono. civis. P(er)gami. fecit . hoc. opus. Sempre sul protiro nord la struttura dell’archivolto poggia su due colonne con capitello, in pietra di Verona, sostenute da due magnifici leoni stilofori nello stesso materiale. A differenza dagli esempi romanici, e successivi, qui gli animali non sono accovacciati: hanno cioè una postura “attiva”, per così dire; sotto le loro pance, in funzione di supporto statico, sono poste figure umane e due leoncini. Vari indizi inducono a ritenere che, mentre si lavorava al protiro nord si fosse già presa in considerazione l’idea di dotare di analoga struttura l’accesso opposto, sul lato sud del transetto (il Portale dei leoni bianchi).

 

 

Il leone nell’architettura medievale aveva un valore simbolico enorme. La porta dei leoni rossi è orientata verso nord, verso la notte, verso il buio e le tenebre, simbolicamente verso la morte. Al leone simbolicamente la chiesa affidava anche la funzione di impedire al profano di varcare la soglia del tempio. Allo stesso tempo il leone rappresentava la vita eterna e la morte terrena. Dopo il pagamento fattogli il 30 ottobre 1367 a saldo dell’esecuzione del portalino nord, Giovanni non compare più nei documenti. Termina così la vicenda dei magistri di Campione nel Medioevo a Bergamo; essa proseguirà tuttavia nei secoli seguenti, disseminata nelle schiere di muratori, scalpellini, scultori, stuccatori che si avvicenderanno nelle più eminenti fabbriche della città, fino agli interventi seicenteschi di completamento del Duomo progettati dal ticinese Carlo Fontana.

Il Duomo. Nel 1459 viene posta la prima pietra (Filarete architetto). L’allontanamento del Vescovo Barozzi (nel 1464 a seguito della elezione alla sede patriarcale di Venezia) e la morte del Filarete (1469), bloccano i lavori. Il cantiere sembra riprendere a fatica nel 1494, ma le modifiche apportate al progetto filateriano e l’incendio dell’attiguo Palazzo della Ragione, portano “la celebre San Vincenzo a giacere incolta e deserta, non essendo compiuto il ristoramento delle sue rovine”. Anche gli avvenimenti che vedono il cantiere sotto la direzione dello Scamozzi, chiamato nel 1611 purtroppo non possono dirsi conclusi al meglio. Anno decisivo il 1689, quando viene definitivamente concessa l’intitolazione della Cattedrale a Sant’Alessandro e i lavori di rinnovamento riprendono attivamente sotto la supervisione dell’architetto Carlo Fontana (di Novazzano, Canton Ticino). Un apposito documento notarile del 1688 attesta che i Canonici non intendono fabbricare una nuova chiesa, ma di servirsi dell’antica e già ampia San Vincenzo.

 

 

Il 16 ottobre del 1688 Fontana comincia ad elaborare i primi studi. Trasferitosi giovanissimo a Roma, Fontana studiò inizialmente con Pietro da Cortona e Carlo Rainaldi, per poi entrare nella cerchia di Gian Lorenzo Bernini, che fece di lui un collaboratore insostituibile. I motivi che condussero Fontana in Lombardia sono probabilmente da ricercarsi nell’assenza di committenza “istituzionale” (dopo la morte del Bernini) e nei rapporti personali che l’architetto intrattenne con alcune importanti famiglie milanesi. Comunque, tornando al Duomo, il 13 settembre 1688 prese avvio la demolizione del campanile, che segnava, già nel progetto di Filarete, il limite orientale dell’abside e, contestualmente, una delegazione, composta da Alessandro Vertova, Defendo Vecchi e Lorenzo Bettera, si recò a Milano dal Fontana per discutere del disegno.

Finalmente a metà ottobre l’architetto giunse a Bergamo rispettando così l’impegno preso il mese precedente, per verificare personalmente le misure e per elaborare e sottoscrivere il progetto definitivo: la cattedrale quattrocentesca doveva essere completata con crociera, transetto, abside e cupola. Il 14 aprile 1689 il Capitolo deliberò di accettare il progetto di Fontana, giudicato, con alcune varianti (la posizione delle porte del coro, l’altezza dell’ordine interno e la disposizione delle sacrestie) in piena armonia con il resto della chiesa. Si iniziò così la costruzione mantenendo frequenti contatti con lo studio del Fontana a Roma.

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